Economisti statunitensi spiegano come si ricicla e si riducono gli sprechi. Arrivano buoni ultimi.

Esce il libro "Circular Economy. Dallo spreco al valore". I nuovi modelli di business e le tecnologie digitali offrono alle imprese ottime possibilità di passare alla circular economy. A parte il fatto che siamo ben distanti dal poter progettare un'economia realmente circolare, è probabile che le aziende italiane, già strutturate in filiere, siano più pronte a questa sfida rispetto ai colossi USA.

Esce il libro di Peter Lacy, Jakob Rutqvist e Beatrice Lamonica "Circular Economy. Dallo spreco al valore", edito da Egea, (300 pp, 35 euro). Secondo il trio di economisti, i nuovi modelli di business e le tecnologie digitali offrono alle imprese ottime possibilità di passare alla circular economy.

È vero, non si tratta di concetti nuovi, ma, si dice nel libro, la tecnologia oggi sta abbattendo le barriere all’applicazione su larga scala del riuso e del riciclo, rappresentati tradizionalmente dai costi informativi, dal costo della manodopera e dagli ostacoli alla collaborazione. Grazie a queste nuove tecnologie si starebbe sviluppando un promettente rilancio industriale basato sulla razionalizzazione delle risorse.

È singolare che queste lezioni siano impartite da un sistema produttivo, quello statunitense, che si è sempre caratterizzato per l'utilizzo non razionale delle risorse, sia a livello di aziende che di privati cittadini, in virtù dell'abbondanza di materie prime e di energia che ne ha sempre caratterizzato l'economia. È come se l'operato di migliaia di aziende, piccole e grandi, in Europa, soprattutto in Italia, ma anche in India, Brasile e Cina, tanto per fare un po' di nomi, non fosse mai esistito.

Oggi, le crescenti preoccupazioni per l'esaurimento delle risorse, e una timida ripresa del prezzo di alcune di esse (del petrolio in particolare) hanno fatto riflettere pure la categoria degli economisti sull'opportunità dell'economia circolare.

Chiariamo subito che il concetto di economia circolare, in opposizione a quello di economia lineare, non è applicabile al sistema industriale così come è concepito: si definisce circolare un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo. Per cui dovrebbe essere possibile reintegrare i flussi di materiali, cosa attualmente ben lontana dall'essere raggiunta, basti pensare solo agli 80 milioni di barili di petrolio estratti ogni giorno, per non parlare di carbone, gas naturale, uranio e tutti i metalli e terre rare. Questi flussi si dirigono, in un solo verso, dal giacimento al consumo, senza possibilità di reintegro.

Quello che possiamo fare oggi è progettare e attuare un'economia che utilizzi quante più risorse derivanti da riuso, riciclo e recupero. E in questo tipo di economia, guarda caso, gli USA sono anni luce indietro rispetto a noi. Non è un caso che negli articoli riguardanti il libro e nella presentazione avvenuta all'università Bocconi, non si sia mai sentito il termine "filiera".

È il termine chiave che spiega i motivi della nostra efficienza e del disinteresse delle aziende USA, almeno fino a oggi. L'economia statunitense è formata da colossi, che si sono specializzati nel creare profitti utilizzando materie prime a basso costo. In Italia, ma anche in India, Brasile, Cina, Africa, Europa etc. la struttura industriale è molto più dispersa. Un fattore di non competitività, certo, ma anche una capacità strutturale di adattarsi a condizioni più difficili, come la scarsità di materie prime che ha sempre caratterizzato molte di queste economie, in primis la nostra.

Se osserviamo per esempio alcuni settori del riciclo, come il vetro, notiamo due situazioni completamente invertite in USA, dove siamo in crisi profonda, e in Italia, dove i numeri parlano di crescita e salute. E questo avviene al netto di sovvenzioni pubbliche, presenti in entrambe le realtà. Il riciclo del vetro USA risente, appunto, dell'assenza di una filiera ben strutturata, composta da operatori diversi per le diverse operazioni, come la frantumazione, la fusione, il trasporto, etc.

È la scarsità che stimola la razionalità, non la tecnologia. E una prova è il fatto che gli stati USA del sud che stanno affrontando un'annosa siccità straordinaria sono oggi all'avanguardia nell'uso razionale dell'acqua: come riportato in questo e in questo articolo.

L'estensione della vita dei prodotti, la produzione di beni di lunga durata, le attività di ricondizionamento e la riduzione della produzione di rifiuti sono concetti da sempre esistenti nel nostro sistema industriale, e le nuove tecnologie, siamo certi, saranno utilizzate dalle nostre aziende in modo molto più efficace di quanto non sapranno fare i colossi USA. I cui portavoce però vengono alla Bocconi a insegnarci come fare.