Percorsi estremi di economia circolare: la New Harvest, società ipertecnologica che si occupa di agricoltura cellulare, spiega in un video i propri obiettivi e i propri sogni. Si parla già di una branca nuova di economia, la bioeconomia post-animale.

Come risposta alla sovrappopolazione e alle carenze alimentari globali, alcune aziende provano la strada della coltura cellulare di carne e derivati. In un video, l'amministratrice di New Harvest spiega il proprio punto di vista.

Il modello lineare di agricoltura non funziona, lo abbiamo già visto in Coltivare un sistema di rigenerazione cibo, e ha dimostrato di essere dannoso per la salute pubblica e l'ambiente.

Uno dei problemi principali di questo sistema è la grande quantità di terreno, sostanze chimiche, risorse energetiche, acqua e lavoro che viene impiegata per la produzione di animali da carne, latte, uova e altri derivati alimentari.

Le colture per allevamenti, infatti, sono in concorrenza con le colture per l'alimentazione umana diretta: la superficie impiegata per ottenere mangimi per animali è il 70% di quella totale coltivata.

L'impatto sul clima degli allevamenti è notevole: un solo chilogrammo di carne richiede tra 4 e 10 chili di mangimi, più quantità elevate di acqua, fertilizzanti e pesticidi per essere prodotti, oltre ai carburanti per trattori e macchine agricole. A parità di calorie, un pasto vegetale costa il 95% in meno in termini di gas serra rispetto a quella tradizionale. Non si tratta solo di CO2: secondo una ricerca dell’università di Oxford, il metano fuoriuscito dai tubi digerenti degli animali da profitto ha un effetto serra superiore a quello causato dal sistema di trasporti mondiale.

Accanto a questi problemi ecologico-quantitativi, ci sono quelli di natura sanitaria: enormi allevamenti di bestie tutte uguali, alimentati da quantità massicce di ormoni e antibiotici portano sicuramente problemi di salute a chi li mangia o ci vive accanto. Ma soprattutto sono il terreno di coltura ideale per batteri e virus mutanti, che sempre più spesso creano stragi di bestie e sono in grado di attaccare l'uomo.

A tutto questo dobbiamo aggiungere l'irrisolta questione etica, che ci vede perplessi sulla liceità di tenere esseri senzienti in condizioni di vita mostruose per risparmiare su spazi, tempi, costi di allevamento. Gli animali soffrono notevolmente in queste fabbriche della morte il cui unico scopo è quello di farli arrivare velocemente al macello.

Presto o tardi l'umanità dovrà fare i conti con questi problemi. Vegetariani e vegani intendono rispondere con l'alimentazione interamente vegetale, ma c'è un'altra opzione, ipertecnologica e fighetta: l'agricoltura cellulare, ovvero produrre carne, latte e uova in laboratorio, a partire dalla moltiplicazione cellulare.

Un nuovo modo di produrre alimenti di origine animale geneticamente uguali a quelli tradizionali, ma che non richiedono l'allevamento. Più che carne da laboratorio, è un nuovo approccio all'agricoltura che, secondo Isha Datar, amministratrice delegata di New Harvest, intervistata nel video qui sotto, apre impegnativi scenari di bioeconomia post-animale.



New Harvest è stata creata nel 2013 da uno scienziato olandese, Mark Post, e si è data l'obiettivo di produrre alimenti post-animali a prezzi competitivi entro dieci o vent’anni, per rispondere alla domanda crescente di carne, impiegando risorse minime per la sua produzione. Tra i finanziatori di questo progetto (inevitabilmente pluriennale) c’è il fondatore di Google, Sergey Brin

Lo scopo di questo settore di ricerca è ottenere i vantaggi degli alimenti animali senza sostenerne i costi ambientali. Minimizzare scarti, rifiuti, impieghi energetici tipici degli allevamenti, evitando inoltre di infliggere inutili sofferenze a milioni di animali costretti a una vita malsana per ingrassare velocemente. Tecnicamente, quindi, è un esempio di economia circolare.

Ma le perplessità sono ancora molte, e non riguardano tanto questioni bioetiche (del resto, che problemi possono dare delle colture cellulari?), quanto la tecnologia in generale. Approcciare la soluzione di problemi complessi quali la sovrappopolazione e le necessità alimentari inserendo nel sistema ulteriori elementi di complessità non ha mai portato da nessuna parte.

Ogni volta che la tecnologia ha cercato di risolvere questo tipo di problemi, non li ha risolti e in più ne sono sorti altri. Basti pensare alla green revolution, ovvero all'utilizzo massiccio di fertilizzanti chimici e pesticidi per aumentare le rese, o agli OGM.

La popolazione mondiale ha la sinistra caratteristica di assestarsi sul massimo possibile di sopravvivenza in base alla capacità produttiva alimentare totale. Aumentare la capacità di produrre alimenti, senza prima affrontare culturalmente il problema della crescita della popolazione, non farà altro che farci ripetere gli stessi recenti errori.

Come leggiamo su veramente, "le persone che, in virtù della disponibilità di proteine nobili a costo (quasi) zero, occuperanno ulteriormente il pianeta avranno bisogno di vestirsi, di spostarsi, di vivere una vita dignitosa, e la pressione sul nostro povero pianeta aumenterebbe vertiginosamente."