Le parole catastrofe, tragedia, calamità, disastro et similia sono state definitivamente sdoganate dal lessico dei rapporti di analisi economica. Scopriamo cosa prevedono i guru della finanza in relazione al cambiamento climatico, e le loro ricette per evitare il peggio.

Un rapporto dell'Economist Intelligence Unit (EIU) descrive quanto costerebbe non rispettare gli accordi di Parigi sull'aumento massimo di 2°C. I numeri sono enormi, fino a un terzo del capitale mondiale sarebbe a rischio.

Abbiamo già descritto come il tema del cambiamento climatico abbia raggiunto finalmente le stanze del potere economico. Nell'articolo La tragedia dell'orizzonte, un discorso del governatore della Banca d'Inghilterra segnalava la pericolosa incapacità del sistema finanziario di prevedere una catastrofe e di prendere le adeguate contromisure, in una sorta di abbreviamento progressivo dell'orizzonte temporale, che assomigliava molto al "paradosso di Achille e la tartaruga" di Zenone di Elea.

Abbiamo ulteriori conferme della consapevolezza degli analisti sul rischio, potenzialmente catastrofico, del cambiamento climatico per l'economia mondiale. Un rapporto molto significativo e importante, Towards disaster-risk sensitive investments: The disaster risk-integrated operational risk model (Verso investimenti influenzati dal rischio-disastro: il modello di rischio integrato dal rischio-disastro), pubblicato dalla Economist Intelligence Unit (EIU), definisce nei termini più crudi quanto l'inazione sul cambiamento climatico rischi di costare all'economia mondiale. I numeri sono enormi, e fanno eco ai risultati di altri rapporti che si stanno susseguendo sull'argomento.

Fa un po' specie osservare i dati di questi rapporti economici, così freddi e asettici: valutare l'impatto di una catastrofe ecologica in termini di mercati e imprese fa passare paradossalmente in secondo piano gli effetti ben più importanti su popolazioni, ecosistemi, sicurezza alimentare. Sarebbe come valutare l'effetto delle radiazioni, a seguito di un'esplosione atomica, sulle dimensioni delle zucchine. Ma fingiamo di ignorare per un momento i danni maggiori e vediamo cosa gli analisti prevedono succeda al sistema economico in caso di tragedia climatica.

La prima valutazione riguarda il settore privato, che sarà colpito duramente: si prevedono perdite del valore dell'attivo patrimoniale di queste società attorno ai 4.000 miliardi di € nel 2100, a causa del cambiamento climatico. In valore attuale, un ammanco più o meno equivalente a tutto il PIL del Giappone. Ma il settore pubblico sarà colpito ancora più violentemente: a livello pubblico le perdite potenziali aumentano fino a 13.000 miliardi nel 2100.

Ma queste cifre riguardano uno scenario medio: se prevediamo il caso peggiore, ovvero un aumento di 6 gradi centigradi entro il 2100, le perdite di investimento privato raggiungono i 13.000 miliardi di euro e quelle del settore pubblico 40.000, più o meno un terzo di tutta la ricchezza mondiale.

Gran parte dell'impatto economico dei cambiamenti climatici scaturirà da una crescita più debole e più bassi rendimenti delle attività su tutta la linea. Per cui i gestori patrimoniali non possono semplicemente evitare i rischi climatici spostando il denaro fuori da classi di attività più vulnerabili. Inoltre, i danni saranno permanenti. Non si tratterà di una recessione, o di una fase discendente di un ciclo economico. Le perdite derivanti dal cambiamento climatico non si limiteranno a rappresentare la volatilità dei mercati, ma un danno permanente alle attività a livello mondiale.

C'è una buona notizia: se l'aumento medio globale della temperatura viene mantenuto sotto i due gradi, le perdite medie previste sono tagliate a metà. Per mantenere la temperatura a questo livello (che è l'obiettivo degli accordi di Parigi), L'EIU chiede ai governi di mettere in atto "meccanismi di determinazione dei prezzi di carbonio globale" e di regolamentazione finanziaria al fine di garantire migliori pratiche di reporting. Le borse dovrebbero richiedere la divulgazione delle emissioni di gas serra da parte di tutte le società quotate, mentre gli investitori devono integrare i cambiamenti climatici nella loro gestione del rischio, come già suggerito dai maggiori analisti finanziari.

Questi consigli paiono essere poco più che palliativi. La resilienza della società passa attraverso l'adattabilità dei sistemi ai cambiamenti anche repentini. Il gigantismo delle attuali istituzioni politiche ed economiche (dalle mega-nazioni alle multinazionali) è un fattore di scarsa reattività e adattabilità: per questo crediamo che la resilienza della comunità umana passerà inevitabilmente per una drastica riduzione delle dimensioni di queste istituzioni.

Le società resilienti al cambiamento climatico sono l'aspetto forse più interessante dello studio, che ha analizzato la capacità di reazione di vari settori delle economie nazionali in esame rispetto ai cambiamenti climatici.

Magari non è molto, magari si potranno ottenere altre informazioni e scenari più dettagliati sull'argomento, ma rimane positivo, e per certi versi inquietante, che la catastrofe sia entrata nel lessico famigliare (per dirla alla Ginzburg) degli analisti delle grandi corporation.