La via della sostenibilità non è più derogabile, ma la politica è interessata a tutt'altro. L'eccessiva attenzione per i capitali esteri potrebbe sfavorire le nostre eccellenze industriali.

Per avvicinarsi all'economia circolare occorre cambiare radicalmente tutto il sistema di produzione e consumo. L'Italia e i paesi poveri avrebbero questo cambiamento alla portata, ma in questo contesto e con questa politica è dura.

Possiamo dire che è superata l'era del consumismo? In effetti, ci siamo inoltrati in un periodo in cui ogni individuo dovrebbe da mo' aver preso coscienza dei danni ambientali che abbiamo creato e che il nostro pianeta ci mostra ogni giorno con gli "strani movimenti" del clima, dell'aria e delle acque, segnali che la Terra ci manda e che dovrebbero aver smosso anche gli animi più critici.

In questo post-consumismo, dovrebbe essere proprio il consumo a cambiare rotta in modo significativo: il concetto di usa-e-getta è stato fallimentare, in nome dell'economia abbiamo sacrificato il nostro habitat. Oggi è tempo di progettare, cercare le origini stesse dei prodotti, capire quale sia il corretto uso e riuso a partire dalla sua creazione.

È a questa riprogettazione della catena di produzione che si ispira l'economia circolare e che si basa su cinque principi fondamentali in rigoroso ordine gerarchico: riduzione, riutilizzo, riciclo, recupero e razionalizzazione dello smaltimento (vedi le 5 erre).

Ogni prodotto deve essere pensato in modo che possa essere riutilizzato ed entrare nel ciclo di produzione e consumo senza creare ulteriori scarti e sprechi.

Non è un processo semplice, in quanto deve tener conto, entrando nella progettazione del prodotto, del fine ciclo mantenendo però l'usabilità e la funzionalità del prodotto. Ma l'economia circolare porta con sé numerosi benefici e su questo non ci sono dubbi.

Non a caso l'Unione Europea ha già capito l'importanza di questo nuovo sistema rivedendo cinque direttive che riguardano diverse tipologie di rifiuti, l'uso delle discariche e dei fertilizzanti biologici. Azioni che hanno l'obiettivo di ridurre gli sprechi e incentivare il riutilizzo dei materiali che possono essere recuperati.

L'Italia potrebbe essere già all'avanguardia in questo settore, se solo si specializzasse nei suoi punti forti, la sua filiera del riciclo, per esempio. Purtroppo i nostri governanti sono ostaggi della finanza internazionale, che continua a martellare sulla crescita, senza spiegare che tipo di crescita, e senza occuparsi di economia rigenerativa.

Il risultato è un continuo flirt con le multinazionali, per attrarre i loro investimenti, per cui nessuno pensa a sostenere le nostre eccellenze, localizzate in aziende di dimensioni molto minori, e fisiologicamente più predisposte a incamminarsi nel percorso verso l'economia circolare.

Speriamo che le direttive in cantiere (che introdurranno l'obbligatorietà del bilancio di sostenibilità per le aziende con almeno 500 dipendenti e per gli enti pubblici) siano l'inizio di un percorso politico orientato all'ambiente. Visti i temi che hanno occupato la vita politica nel 2016, ci permettiamo di dubitare.

Sono ancora molti i passi da fare per rendere l'economia circolare concreta per tutti. Occorre poi essere in grado di fare il salto di qualità: se il termine riciclo è ormai radicato in Italia e altrove, lo è poco invece il riutilizzo, ovvero il riuso dei prodotti a fine ciclo.

E' una vera e propria rivoluzione che deve iniziare dalla popolazione. Sperando non sia troppo tardi.