Fuffa e paroloni, spesso in siti inusabili pieni di grafica. I produttori di pasta fanno la ruota come i pavoni ostentando un impegno alla sostenibilità che non c'è. Vanno un po' meglio le medie e piccole aziende, ma niente di che. Si salvano i marchi che hanno sempre fatto il biologico.

La pasta ha un elevato impatto ambientale e i produttori si stanno muovendo verso la sostenibilità. Ma spesso sono solo parole. Quando gli impegni non sono verificabili, si tratta di greenwashing.

Al mondo non esiste cibo più ecologicamente corretto di un altro, ma chi conosce veramente l'impatto ambientale della tanto amata pasta italiana?
Anche la filiera della pasta secca ha molti aspetti con i quali i produttori hanno dovuto scontrarsi: dalla produzione, al consumo di materie prime come farine e simili, sale, zucchero, oli e conservanti, fino all'inquinamento acustico causato dal rumore dei macchinari.

L'energia, non solo quella elettrica utilizzata per gli impianti, ma anche il combustibile usato per l'essiccatore, l'acqua, utilizzata per la pulizia e per gli impasti, le emissioni sia di scarico che quelle provocate dalle farine, e il packaging, gli scarichi, i trasporti per distribuire i prodotti finiti, sono tutte cause di impatto negativo da non sottovalutare.

Il fatto che, come abbiamo detto prima, non esista un alimento più corretto ecologicamente di un altro, è una questione che si sono posti anche Massimo Marino, Ingegnere ambientale con specializzazione in ciclo di vita del prodotto, e Carlo Alberto Pratesi, Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese all'Università Roma Tre, autori entrambi del libro "Il Cibo Perfetto", che inserisce il lettore nel mondo delle scelte industriali, sottolineando come l'impatto zero sia solo un'utopia in quanto ogni scelta porta a conseguenze sia vantaggiose che svantaggiose.

Obiettivo per i prossimi anni di tutti i grandi produttori di pasta, è la sostenibilità: medie e piccole aziende si sono infatti impegnate a ridurre le emissioni di gas-serra. Grandi parole, ma nei fatti nessun impegno concreto. Eppure, nel settore alimentare, un modo per attestare la propria sostenibilità c'è: la certificazione biologica. Basterebbe convertire l'intera produzione ai protocolli dell'agricoltura organica e si darebbe un segnale incontrovertibile di intenzioni veramente green.

Ma i produttori se ne guardano bene, e a impegni precisi preferiscono chiacchiere al vento. Sgambaro, nota azienda produttrice di pasta, ha per esempio creato una linea definita "leggera sull'ambiente", utilizzando un grano italiano a km zero, senza pesticidi e tossine, come previsto dagli standard utilizzati sui prodotti per l'infanzia.
Inoltre, questa pasta vanterebbe dei consigli sulla cottura: è importante sapere che il 50% dell'impatto ambientale della pasta pare sia causato proprio dalla cottura.
Anche Barilla ha un sito ad hoc per il suo prodotto "sostenibile" (ovviamente si guardano bene dal dire biologico) in cui seguire l'impegno a chiacchiere di questa aziende nel perseguire gli obiettivi green (quali?) entro il 2020.

I siti web sono lo specchio di queste aziende. Oltre a due colossi come Barilla e Sgambaro, possiamo citare il Pastificio Agricolo Mancini, con sede nelle Marche e condotto da generazioni dalla famiglia, operativi dal 1930. L'azienda, che sarà probabilmente ricordata per il sito web più brutto, pesante e meno accessibile della storia, mette in mostra molto, ma omette altrettanto. Non si capisce infatti quale sia la politica ambientale dell'azienda.

Si può infatti leggere (con molta fatica) che per la famiglia Mancini, la sostenibilità consiste nel riuscire a conciliare e tenere in equilibrio gli argomenti ambientali, economici ed agronomici, come ha spiegato il titolare Massimo Mancini. Ciò avverrebbe a partire dalla gestione dei campi, in cui si applica l'alternanza delle colture sullo stesso appezzamento, la corretta gestione delle acque piovane attraverso adeguati fossi di scolo, la distribuzione frazionata del concime in base alle esigenze delle colture, l'uso di molecole chimiche per il trattamento del grano(?), fino alla lavorazione del terreno solo nei momenti ideali. Tutto quanto possiamo trovare scritto nei manuali di agricoltura del secolo scorso.

Massimo Mancini sostiene che l'impiego della trafila in bronzo, che dà alla pasta la giusta ruvidità superficiale, insieme all'essiccazione a temperature molto basse, per esaltare le caratteristiche del grano, contribuiscono alla qualità del prodotto. Sono tutte questioni molto di moda, come testimonia la presenza di una linea bio accanto a quella con pesticidi e concimi chimici, probabilmente per coprire una nicchia di consumatori fighetti. Ma reali impegni verso la sostenibilità non se ne trovano. Filmati che partono in automatico, sì, tanti.

Di tutt'altra pasta è il pastificio IRIS, fondato negli anni 1970 da un gruppo di giovani che hanno creduto nella cooperazione e nel metodo di coltivazione "da agricoltura biologica," realizzando un progetto sostenibile subito, concretamente, senza compromessi. Non ci piace incensare le aziende (e soprattutto non ci piace farlo gratis), ma l'esempio di IRIS serve a dimostrare che si può fare industria sostenibile, senza ammantare di fuffa delle pratiche assolutamente banali.