Il settore della moda, oltre a essere un campione della delocalizzazione per sfruttamento di manodopera, è inquinantissimo, soprattutto nei confronti dell'acqua.

L'inquinamento derivante dal settore della moda è alto tanto quello causato dall'industria petrolifera. Una serie di cattive abitudini difficili da estirpare, sia da parte dei consumatori che, soprattutto, dei produttori.

L'impatto ambientale, e pure quello sociale, del settore tessile sono tra i più elevati dell'intera economia. Un paio di jeans, per esempio, assorbe per la sua lavorazione fino a 11000 litri di acqua. La coltura del cotone, che copre il 3% delle coltivazioni, utilizza il 10% dei pesticidi e il 24% degli insetticidi su scala globale. Altro inquinamento viene poi dal trasporto, visto che nella distanza percorsa dalla piantagione al negozio si totalizzano in totale 12mila chilometri, come un viaggio Roma-Pechino e oltre.

Greenpeace sta cercando di focalizzare l'attenzione sul tema, vista la recente notizia del raddoppio della produzione di abiti tra il 2000 e il 2014. Come già sappiamo, i vestiti non fanno altro che contribuire all'aumento del volume dei rifiuti, risultando essere uno dei settori che maggiormente inquina dopo l'industria petrolifera.

Le abitudini umane in relazione all'abbigliamento rappresentano forse il nostro maggiore fallimento ambientale: non solo ci stiamo rendendo partecipi della produzione di porcherie, che respiriamo o mangiamo, ma addirittura le indossiamo. Naturalmente il discorso non si limita solo ai prodotti senza marchio o di bassa fascia, anzi.

Il nostro comportamento, più che la pratica scellerata delle multinazionali, è il principale responsabile dell'inquinamento. Non ci dilunghiamo sul cattivo gusto di acquistare abiti nuovi stracciati artificialmente, quanto sull'ingiustificata tendenza ad abbandonare la pratica della riparazione degli abiti danneggiati.

Ma la cultura dei nostri padri (soprattutto delle nostre madri) non è il danneggiato principale di questo scellerato settore. Purtroppo il problema dell'acqua è molto più grave: il film "RiverBlue: Can Fashion Save the Planet?" ci offre uno scorcio sulla contaminazione dell'acqua mondiale dovuta alla lavorazione e alla produzione di prodotti tessili e alla mancanza di regolamentazione delle tossine in quelle fabbriche.

Solo l'1% delle acque terrestri è utilizzabile dall'umanità, quelle provenienti da laghi e fiumi, per questo dovrebbe essere di grande importanza per tutti per assicurarsi che rimangano puliti. Oggi, oltre il 70 per cento dei fiumi e dei laghi della Cina sono contaminati, con l'India e l'Indonesia subito dopo in questa triste classifica.

Il film mostra i risultati delle fabbriche che scaricano i loro prodotti chimici e coloranti tossici nei fiumi. Gli abitanti di queste aree stanno mangiando cibo alimentato con questa acqua tossica. Quando viene analizzato, il cibo mostra grave contaminazione da sostanze chimiche tossiche.

La gente usa questa acqua contaminata per lavarsi, bere e nutrire il bestiame, e il risultato sono persone malate, coperte da eruzioni cutanee e che sviluppando tumori che potrebbero essere evitati.

Le grandi marche sono i principali responsabili, poiché esigono un'elevata produzione e un basso costo, l'esportazione è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi 50 anni. Questa tendenza e la mancanza di applicazione della sicurezza ambientale e dei lavoratori in paesi deboli economicamente hanno portato ad un notevole aumento della contaminazione e dell'inquinamento.

Marchi come H&M, Gap e Adidas sono i committenti delle fabbriche che inquinano l'acqua in Indonesia. Greenpeace ha avviato la "campagna Detox" che ha portato questi leader mondiali di moda e altri 17 a impegnarsi a disintossicare la loro produzione entro il 2020.

Alcune marche di jeans come Ecogeco in Italia e Jeanologia in Spagna hanno avviato la produzione di jeans rispettosi dell'ambiente con tecniche e attrezzature varie, ma tutte caratterizzate dall'attenzione verso l'acqua. Se i marchi major seguissero l'iniziativa di queste piccole imprese, allora e solo allora avrebbero diritto di comunicare le loro politiche green senza fare greenwashing.