La legge Ronchi, straordinaria produttrice di scartoffie, subisce un colpo dal Ministero dell'Ambiente, che ammette clamorosamente l'esistenza della trasmissione elettronica dei documenti.

Una nota del MinAmb permette la trasmissione della quarta copia del formulario di identificazione rifiuti. Piccolo passo avanti verso il terzo millennio.

Un sistema burocratico ereditato dal secolo scorso costringe tutte le aziende che si occupano di rifiuti e scarti riciclabili, anche solo come produttori, a una mole incredibile di carta vidimata.

Di questo assurdo regolamento fanno parte i cosiddetti formulari di identificazione rifiuti, uno dei pochissimi documenti fiscali rimasti in Italia (e probabilmente nel mondo). Questi documenti, prima di essere utilizzati, devono essere vidimati presso la Camera di Commercio o l'Agenzia delle Entrate.

Ma non è tutto: la scartoffia deve essere redatta in 4 esemplari, compilata, datata e firmata da tutti i soggetti implicati (produttore del rifiuto, trasportatore, smaltitore finale). Le copie del formulario devono essere conservate da tutti questi soggetti per 5 anni.

La procedura di trasporto del rifiuto è notevolmente complicata: all'atto del prelievo una copia del formulario deve rimanere presso il produttore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, spettano una dal destinatario e due al trasportatore, che però deve trasmetterne una al detentore. Questo perché, nel meccanismo borbonico che regola il settore italiano dei rifiuti, la copia già in possesso del produttore manca della importantissima firma del destinatario.

Quasi tutte le operazioni sopra descritte avvengono contestualmente al trasporto del rifiuto, per cui più che appesantire burocraticamente le operazioni non fanno. Ma l'ultima, la restituzione al produttore della maledetta quarta copia, rimane fuori, e deve essere fatta successivamente.

Come deve essere fatta la trasmissione la legge non lo dice: i consulenti interrogati impongono almeno la raccomandata con ricevuta di ritorno (tanto che je frega? Sono le aziende che pagano). In genere si preferisce allegare il documento alla fattura e morta lì.

Ma se la busta non arriva? Si tratta pur sempre di un documento originale, cui la medievale legge dà un'importanza smisurata. Poi ci sono i casi in cui la fattura non deve essere inviata, per esempio perché mandata elettronicamente o semplicemente perché la fattura non è dovuta. Fatto sta che la quarta copia deve essere spesso spedita via posta, e questo fatto costa ogni anno parecchie migliaia di euro a ciascuna azienda, senza beneficio alcuno: pensate cosa può significare per chi opera ogni giorno centinaia di piccoli trasporti.

Il SISTRI, scellerata operazione ministeriale di informatizzazione del settore rifiuti di qualche anno fa, avrebbe dovuto risolvere questo e altri problemi, ma è affondato con tutte le sue magagne e innovazioni. Così, eccoci nel 2017 a spedire col calesse una scartoffia inutile pretendendo la ricevuta di ritorno, mentre in altri settori con un clic del mouse si acquistano petroliere.

La novità è che, interrogato specificamente sull'argomento, il Ministero dell'ambiente ha ammesso la trasmissione elettronica della quarta copia. Con la nota datata 20 luglio 2017, è ammessa la possibilità di trasmettere il documento al produttore del rifiuto, in sostituzione della copia cartacea.

Prima di festeggiare col trenino a ritmo di samba, osservate bene le condizioni, siamo pur sempre in un paese retrogrado:
- il documento deve essere acquisito tramite scanner in formato PDF/A,
- deve essere firmato elettronicamente, ma per fortuna senza marca temporale,
- deve essere inviato tramite PEC (Posta Elettronica Certificata) al produttore del rifiuto, e
- deve essere archiviato elettronicamente con idoneo software certificato.

Per non farci mancare nulla, l'originale cartaceo (ma a che serve?) deve essere archiviato, in armadi metallici resistenti al fuoco, in locali provvisti del Certificato di Prevenzione Incendi, e reso disponibile su richiesta alle autorità o al produttore.

Siamo al delirio, ma almeno è stato fatto un passo avanti. La nota conclude con uno sprazzo di buonsenso, raccomandando particolare cura alla leggibilità del documento digitalizzato, che risulta in molti casi già critica sugli originali cartacei.