Le restrizioni alle importazioni di materiali riciclabili in Cina sembrano essere una proposizione seria. Dobbiamo preoccuparci?

Le blande proteste dei riciclatori di tutti i paesi OCSE nascondono un problema fatto di stoccaggi pieni, impianti locali di trattamento ingolfati, e in generale di un sistema non pronto ad affrontare lo svincolo della Cina dal mercato dei riciclabili. A gennaio sarà caos.

Molti lo pensano. Gli operatori della categoria sono convinti che la determinazione della Cina di mettere un serio vaglio sulla qualità dei materiali secondari importati (Operazione "National Sword") sia autentica. Francesco Brognara, amministratore di Ricicla, azienda veronese che si occupa di trattamento di riciclabili, sostiene: "questa volta ci è stato assicurato che fanno sul serio." Le autorità cinesi hanno tarato i parametri di qualità a livelli "impossibili" per la maggior parte delle filiere di fornitura.

Ma il problema si estende anche a chi lavora con standard qualitativi più rigorosi. "In questo momento gli impianti di riciclo italiani sono sommersi di richieste, e non ritirano nemmeno dalle aziende con cui hanno contratti blindati," continua Brognara. "Gli stoccaggi sono pieni, e i prezzi dei materiali sono in picchiata. E questo vale anche per prodotti di alta qualità, come per esempio quelli prodotti dalle aziende industriali (diversi da quelli provenienti dalla differenziazione dei rifiuti urbani - n.d.r.)."

Fuori Italia si sta scatenando il panico tra gli operatori dei riciclabili (vedi Panico nel mercato internazionale dei rottami). In Gran Bretagna, le associazioni di categoria hanno scritto alla ministra per le risorse Therese Coffey chiedendo azioni per sostenere l'industria del riciclaggio di fronte a questo attacco. Gli operatori chiedono una missione ad alto livello a Pechino per negoziare "la fornitura all'economia cinese dei materiali secondari di cui hanno bisogno."

Movimenti simili sono in corso in UE: per esempio a Bruxelles il comitato consultivo per l'accesso al mercato che discute con il sostegno degli Stati membri sulle azioni da intraprendere con la Cina.

La situazione è realmente esplosiva, ma non, come sostengono i colleghi britannici, per l'industria cinese, che può tranquillamente fare a meno delle materie seconde occidentali, bensì per l'industria mondiale del riciclo, che deve affrontare grandi quantitativi di carta e di plastica senza casa, con infrastrutture di produzione e mercati insufficienti, certamente non pronti a breve e medio termine.

Tuttavia questi movimenti delle associazioni di categoria sono ancora troppo blandi, e non rispecchiano l'attuale situazione, che parla di stoccaggi stracolmi, di possibilità di reati, e in qualche caso di pericolo di incendio.

L'impressione è che l'intero settore mondiale si aspetti una risoluzione cinese che rimandi il blocco o aggiunga elementi di tolleranza, come quando le aziende italiane attendono il decreto "mille proroghe" per veder rimandata l'applicazione di norme indigeste.

La quiete prima della tempesta.