L'eccesso di gas in molti impianti non viene recuperato, ma bruciato sul posto per limitare i costi. Uno spreco assurdo e tossico.

La pratica del flaring, ovvero bruciare gas e petrolio insieme, inquina e provoca gravi effetti alla salute. Le misure della Banca Mondiale per contrastare questa cattiva abitudine.

Quando si parla di combustibili fossili, in termini di inquinamento, pensiamo al loro utilizzo, non a problemi legati alla loro estrazione. Il termine flaring in italiano significa "combustione di gas", ovvero una pratica che consiste nel bruciare, senza recuperare energia, il gas naturale in eccesso estratto col petrolio, in quanto risulterebbe troppo costoso costruire infrastrutture adeguate per trasportarlo nei luoghi di consumo.

Secondo la Banca Mondiale, le torri di impianti industriali che bruciano il gas in eccesso sarebbero 16 mila, con una produzione di 350 milioni di tonnellate di CO2 l'anno. La combustione non completa di petrolio e gas nelle torce produce la dispersione di particelle fini, che prendono il nome di black carbon o neurofumo, composto dichiarato cancerogeno dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.

Chimicamente, per black carbon si intende un composto particolarmente fine (PM ≤ 2,5 μm) costituito da carbonio puro in varie forme legate. Nel delta del Niger, dove la Shell ha generato un inquinamento irreversibile, le persone esposte agli effetti del black carbon sono oltre 20 milioni. Il composto proviene in elevate quantità da pozzi di trivellazione e raffineria in terraferma.

Attualmente, la pratica del flaring è in crescita a livello globale, ma in molte zone si registrano dei miglioramenti: in Nigeria ad esempio, tra il 2013 e il 2015 è stata ridotta del 18%. L'Iraq invece è stato l'ultimo paese ad aderire all'iniziativa della Banca Mondiale, che prevedeva l'eliminazione del flaring entro il 2030. Ogni anno, queste enormi torce bruciano gas che potrebbe produrre 750 miliardi di KWh di energia elettrica, più del consumo annuo nel continente africano.

Naturalmente, gli effetti non solo causati dalle torri petrolifere. Anche i venti portano l'inquinamento causato da questa pratica in zone in cui non esiste una concentrazione di industrie dell'oil&gas. L'inquinamento atmosferico in Africa è, per centinaia di chilometri quadrati, al di sopra delle soglie stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità per quanto riguarda biossido di azoto e ozono.

Questo tipo di inquinanti causa anche piogge acide che influiscono su luoghi sensibili e fondamentali per l'ecosistema, quali la savana, le foreste pluviali, l'acqua dolce, le coltivazioni. Nonostante ciò, secondo la Banca Mondiale ci sono ancora speranze: il 27% dell'inquinamento da flaring è causato dal 14% delle torce, almeno in paesi come la Nigeria. Ma è un problema da affrontare in tutto il mondo.