Se la Cina non vuole più i rifiuti dell'occidente, il mondo dovrà attrezzarsi. Ecco i piani di Asia, Europa e America.

Le restrizioni cinesi ai riciclabili stimolano risposte diverse in tutto il mondo. Le reazioni di Europa, Gran Bretagna e altri paesi asiatici.

Prima del divieto, che con ogni probabilità diverrà operativo il prossimo 1 marzo, la Cina era il più grande importatore mondiale di rifiuti di plastica, con 7,3 milioni di tonnellate nel 2016 da paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone per un valore di 3,7 miliardi di dollari.

Le importazioni sono servite (vedi Il punto sui riciclabili) per alimentare la sua industria manifatturiera in piena espansione. Ma il governo cinese ha deciso l'anno scorso che troppi non riciclabili finivano nel flusso dei rifiuti importati.

Bloccando di fatto le importazioni, la Cina spera invece di incrementare il riciclaggio dei materiali provenienti dal mercato interno per rifornire il settore manifatturiero.

Questo sta provocando nel mondo lo sconquasso che merita ogni decisione epocale. Paesi di tutto il mondo si stanno sforzando di capire cosa fare con le migliaia di tonnellate di rifiuti che si accumulano nei loro porti.

Sperando di beneficiare della situazione, diversi paesi del sud-est asiatico, come la Malesia e il Vietnam, stanno attrezzando i propri porti per ricevere i rifiuti. Queste nazioni, comunque, non hanno la forza industriale per utilizzare la massa di materiale disponibile, per cui questa azione avrà presumibilmente la durata delle discariche disponibili, e si esaurirà velocemente.

Dall'altro fronte, vediamo un deludente piano poliennale da parte della Gran Bretagna (vedi Piano plastica della Gran Bretagna: una delusione) e l'inconcludenza più totale da parte degli Stati Uniti di Trump. Dal canto suo, l'Europa annuncia nuove iniziative di riciclaggio. In particolare, l'UE sta lanciando un'iniziativa di riciclaggio aggressiva per ridurre le esportazioni di plastica.

Per ora ci limitiamo a interpretare le parole di Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che ha dichiarato guerra alle "materie plastiche monouso, che impiegano cinque secondi per essere prodotte, cinque minuti per essere usate e 500 anni per essere smaltite."

I responsabili politici europei stanno stanziando oltre 100 milioni di euro per la ricerca di migliori design per gli oggetti in plastica, in termini di durata e riciclabilità. Stanno inoltre considerando il divieto alle microplastiche spesso presenti nei cosmetici e in altri prodotti per la cura personale, l'inasprimento dei regolamenti portuali per impedire lo smaltimento dei rifiuti nell'oceano, e (finalmente, vedi Una tassa sulla plastica?) la tassazione delle materie plastiche monouso.

Il risultato di tutte queste mosse è la politica adottata dalle nazioni europee lo scorso mese per riciclare il 55% dei rifiuti di imballaggio in plastica entro il 2030, e un divieto di smaltimento in discarica di rifiuti raccolti separatamente.

Nell'UE vengono generati ogni anno 25,8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, il 70% dei quali viene incenerito o scaricato in discarica. Da 150.000 a 500.000 tonnellate di rifiuti di plastica entrano negli oceani ogni anno. Di queste, tra 75.000 e 300.000 tonnellate sono microplastiche.

È sicuramente di buon auspicio l'obiettivo del 100% degli imballaggi di plastica in UE riutilizzabili o riciclabili entro il 2030, con una primo step nel 2018 per alcuni articoli monouso. Ma è un testo ancora troppo concentrato sul riciclaggio, mentre le operazioni più virtuose, la riduzione e il riutilizzo, sono poco citate.