Uno studio afferma che il panino imbottito ha un impronta di carbonio molto elevata. Attendiamo sconvolgenti studi sull'impatto del martini con l'oliva.
Ricerche fatte a capocchia, senza confronto, date in pasto ai media con commenti superficiali e imprecisi. Alcune università faticano a giustificare la propria presenza nel mondo.
Il panino imbottito, alimento base della dieta di chi ha fretta, già pronto e pieno di uova, pancetta, salsiccia e chi ne ha più ne metta, la scelta popolare per un pranzo facile e veloce, secondo una ricerca sarebbe un nemico dell'ambiente: la sua impronta di carbonio sarebbe piuttosto elevata.I ricercatori dell'Università di Manchester hanno condotto un singolare studio sull'impronta di carbonio dei sandwich, sia quelli fatti in casa che quelli che si trovano già pronti nei bar, ristoranti e supermercati. Gli studiosi hanno preso in considerazione l'intero ciclo di vita dei panini, compresa la produzione degli ingredienti, degli imballaggi, la refrigerazione e i rifiuti alimentari. Sono stati esaminati 40 tipologie diverse di sandwich, ricette e combinazioni, dalle quali sono state trovate le più alte impronte di carbonio per i sandwich contenenti carne di maiale come affettati o salsicce, e per quelli ripieni di formaggio o gamberi.
I ricercatori stimano che questi panini pronti all'uso e altamente calorici, generano 1441g di CO2 equivalente, pari alle emissioni generate dalla guida di un'auto per 19 km. Dallo studio è risultato che un sandwich con prosciutto e formaggio fatto in casa, potrebbe avere un'impronta di carbonio più bassa in base alla ricetta. Per la precisione, i panini auto-prodotti potrebbero ridurre della metà le emissioni di carbonio rispetto alle versioni acquistate in negozio.
Anche mantenere refrigerati questi panini nei supermercati e nei negozi aumenta la loro impronta di carbonio, rappresentando fino a un quarto del loro equivalente di emissioni di gas serra. L'imballaggio arriva fino all'8,5% e il trasporto di materiali e panini refrigerati aggiunge un ulteriore 4%.
Adisa Azapagic, professoressa e collaboratrice dello studio, ha affermato che è importante comprendere il contributo di questo settore alle emissioni di gas serra, in quanto i panini sono un alimento molto consumato quotidianamente, addirittura alimento base nella dieta dei paesi anglosassoni e sono significativi nel settore alimentare.
Lo studio raccomanda anche di ridurre o addirittura omettere alcuni ingredienti in quanto hanno un'impronta di carbonio maggiore, come la lattuga, il pomodoro, il formaggio e la carne, i quali comunque hanno un apporto calorico molto elevato e la riduzione comporterebbe anche uno stile di vita più salutare.
Da italiani, fatichiamo a comprendere come lattuga e pomodoro possano apportare troppa CO2 al pianeta e troppe calorie a noi, nonché danni alla salute. L'unico problema che tali cibi potrebbero incontrare è il costo ambientale del loro trasporto, se prodotti lontano dal luogo di consumo. Ma non è certamente il nostro caso.
Inoltre, non abbiamo capito perché misurare l'impronta di un tipo di cibo e non quella di altri, per stabilire dei paragoni. Queste ricerche avrebbero un senso se considerate in aggregato, magari supportate da meta-ricerche che possano mettere a confronto l'impatto di CO2 del panino con quello della bistecca, della pizza o del piatto di spaghetti con la pummarola in coppa.
Gettate così nel ventilatore della stampa, queste ricerche hanno la stessa efficacia del gossip.