Non si tratta di bottiglie e cannucce: la chiazza è costituita per lo più attrezzi da pesca abbandonati.

Un nuovo studio rivela che il mucchio di spazzatura è costituito per la maggior parte da attrezzi da pesca. Contemporaneamente, un altro studio stabilisce che l'inquinamento plastico aumenta in maniera esponenziale.

La Great Pacific Garbage Patch è il più grande mucchio al mondo di pattumi galleggianti, da noi famoso come isola di plastica. Si trova tra le Hawaii e la California ed è spesso descritto come "più grande del Texas", anche se non si tratta di qualcosa di concreto su cui posare i piedi. Né può essere visto dallo spazio, come spesso si afferma.

La mancanza di terraferma non ha impedito a un paio di dirigenti pubblicitari di dichiarare la chiazza come un luogo reale. Lo chiamano la nazione delle Isole Trash, hanno l'ex vicepresidente Al Gore come sindaco onorario e lo scorso autunno hanno presentato una petizione alle Nazioni Unite per il riconoscimento. La trovata pubblicitaria ha rafforzato il mito.

La chiazza fu scoperta nel 1997 da Charles Moore, un velista che aveva attraversato un guazzabuglio di bottiglie di plastica galleggianti e altri detriti mentre tornava a Los Angeles. È stato nominata da Curtis Ebbesmeyer, un oceanografo di Seattle noto per la sua esperienza nel tracciare le correnti oceaniche e il movimento delle merci perse in mare, compresi anatrelle in gomma e scarpe da tennis Nike. La chiazza è ora l'obiettivo di una campagna di pulizia di 32 milioni di dollari (26 milioni di euro) lanciata da un adolescente olandese, Boyan Slat, che ora ha 23 anni, ed è a capo della Ocean Cleanup.

Cosa c'è davvero nella chiazza? Le microplastiche costituiscono il 94 percento dei circa 1800 miliardi di pezzi di plastica. Ma questo ammonta solo all'otto percento della massa totale. A quanto pare, delle 79.000 tonnellate di plastica, la maggior parte è costituita da attrezzi da pesca abbandonati, non da bottiglie o imballaggi di plastica.

Un nuovo studio completo del team di scienziati di Slat, pubblicato su Scientific Reports la scorsa settimana, ha concluso che le 79.000 tonnellate occupano una superficie da quattro a 16 volte maggiore di quanto precedentemente stimato. Lo studio ha inoltre rilevato che le reti da pesca rappresentano il 46% della spazzatura, con la maggior parte delle restanti componenti di altri attrezzi dell'industria della pesca, tra cui corde, distanziali per ostriche, trappole per anguille, casse e ceste. Gli scienziati stimano che il 20% dei detriti provenga dallo tsunami giapponese del 2011.

Laurent Lebreton, oceanografo di Ocean Cleanup e autore principale dello studio, dice che il team di ricerca sta cercando di valutare i pezzi più grandi. "Sapevo che ci sarebbero stati molti attrezzi da pesca, ma il 46% era inaspettatamente alto", dice. "Inizialmente, pensavamo che gli attrezzi da pesca sarebbero stati attorno al 20%."

Circa 100.000 animali marini vengono strangolati, soffocati o feriti dalla plastica ogni anno da reti da pesca abbandonate. Ocean Cleanup sta attualmente lavorando su un sistema per rimuovere gran parte di questa attrezzatura, con piani per il lancio entro la fine dell'anno.

"Il fatto interessante è che almeno metà di quello che stanno trovando non è plastica di consumo, oggi al centro del dibattito," dice George Leonard, capo scienziato dell'Ocean Conservancy. "Questo studio è la conferma che gli equipaggiamenti abbandonati e persi sono un'importante fonte di mortalità per un'enorme schiera di animali e abbiamo bisogno di ampliare la discussione sulla plastica per essere certi di risolvere questo aspetto del problema."

La pubblicazione dello studio sull'isola delle immondizie è coincisa con un nuovo rapporto del governo britannico, Foresight Future of the Sea, che ha rilevato che l'inquinamento plastico nell'oceano potrebbe triplicare entro il 2050 a meno che non venga allestita una "risposta maggiore" per evitare che la plastica raggiunga l'oceano. Il rapporto ha dichiarato che l'inquinamento plastico è una delle principali minacce ambientali ai mari, insieme all'innalzamento del livello del mare e al riscaldamento degli oceani.

Lo studio ha incluso due sondaggi aerei nell'ottobre 2016 che hanno richiesto 7.000 immagini e 652 traini di reti oceaniche condotte a luglio, agosto e settembre 2015 da 18 navi. Cinquanta articoli in plastica raccolti avevano una data di produzione leggibile: uno del 1977, sette degli anni '80, 17 degli anni '90, 24 degli anni 2000 e uno del 2010. I ricercatori hanno anche trovato 386 oggetti con parole o frasi riconoscibili in nove lingue diverse.

La scrittura su un terzo degli oggetti era giapponese e un terzo era cinese. Il paese di produzione era leggibile su 41 oggetti, dimostrando che erano fabbricati in 12 nazioni diverse.

Lo studio ha anche concluso che l'inquinamento plastico è "in aumento esponenziale". Gli scienziati ritengono che gran parte dei detriti marini del mondo si trovino nelle regioni costiere, non nel mezzo degli oceani.