Un divieto globale di pesca in alto mare? Gli stock ittici mondiali sono gravemente impoveriti e occorrono misure drastiche per ricostituire la fauna selvatica, ma anche per salvare il futuro dell'industria stessa della pesca.

Un famoso biologo marino è diventato il maggior sostenitore del blocco totale della pesca in alto mare. Ma non è solo una questione ambientalista: a trarne vantaggio sarebbero i pecatori stessi.

Secondo il biologo marino Daniel Pauly, professore presso l'Università della British Columbia e ricercatore principale di un gruppo di studio sulla pesca, il Sea Around Us, è necessario un divieto globale di pesca in alto mare.

La fine della pesca in alto mare ovvero quella effettuata nelle acque 200 miglia marine (370 km) all'esterno delle coste delle nazioni costiere, non è un'ipotesi così estrema come sembra.

L'industria della pesca industriale mondiale, secondo Pauly, assomiglia a uno schema Ponzi. "In questo tipo di truffa finanziaria," dice Pauly, "si pagano i vecchi investitori con i soldi versati dai nuovi investitori, non con i profitti effettivi (che non ci sono). Allo stesso modo si è evoluta la pesca negli ultimi 50 o 60 anni: dalle acque europee o nordamericane, si è passati nel Sud-est asiatico o in Africa, e ora si prova in Antartide. Quando alla fine si esauriscono i nuovi stock di pesca che puoi sfruttare, l'intero sistema crolla. La pesca sta collassando perché non abbiamo più nuove aree in grado di compensare le aree già pescate."

Le flotte pescherecce viaggiano sempre più miglia al largo per catture sempre più piccole. La cattura è aumentata fino alla metà degli anni '90. A metà degli anni '90, l'espansione geografica delle attività di pesca verso tutti gli angoli dell'oceano è continuata, ma non è stata più in grado di compensare la distruzione delle scorte.

La misura del divieto totale di pesca nelle acque internazionali (il 59% della superficie marina mondiale) è meno radicale di quanto si pensi. Oggi tutte le specie che vengono pescate in alto mare, come il tonno, si spostano regolarmente tra l'oceano aperto e le acque costiere controllate a livello nazionale, dove potrebbero ancora essere catturate.

Ma, se pescate in zone costiere, il bottino potrebbe essere equamente condiviso invece che appannaggio di una dozzina di paesi. Oggigiorno Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Cina, Spagna, Francia e pochi altri con grandi flotte industriali essenzialmente monopolizzano la pesca in alto mare. Altri paesi, grandi paesi come l'India e il Brasile, stanno in disparte e sfruttano solo la propria Zona Economica Esclusiva. Quindi c'è un problema di equità. Il pesce non raccolto da queste grandi flotte straniere sarebbe appannaggio di paesi costieri, che attualmente ne traggono scarsi benefici, come i paesi dell'Africa orientale e dell'Africa occidentale, quelli del Sud-est asiatico e dei Caraibi.

La pesca in alto mare rappresenta solo il 10% della massa totale pescata. Inoltre, molte attività sono economiche solo grazie a enormi sussidi dal paese di appartenenza. Per esempio, la Spagna può pescare nell'Atlantico occidentale e centrale perché le loro flotte sono fortemente sovvenzionate. Lo stesso vale per Giappone, Cina, Corea, Taiwan.

Recentemente, in Antartide (che non appartiene a nessuna nazione) i paesi che gestiscono la pesca hanno concordato una chiusura completa della pesca per 35 anni nel Mare di Ross. L'ONU ha già iniziato a parlare di un divieto di pesca in alto mare, e si può facilmente immaginare che tra 10 anni questo sarà seriamente all'ordine del giorno.

"Le riserve marine," continua Pauly, "sono efficaci nel fare ricostruzione delle popolazioni ittiche. Questo è il caso delle piccole riserve marine, ma è probabile che anche le grandi riserve si comportino alla stessa maniera, anche se al momento non c'è evidenza scientifica."

Oggi gli ecosistemi incontaminati sono sempre più rari (vedi Oceani: solo il 13% rimane selvaggio). Aumentano in tutto il mondo le zone morte (vedi Il Baltico soffoca), aree con pochi pesci piccoli rimasti, molte meduse, alghe nocive. E non è colpa solo dei nitrati agricoli, ma anche dell'assenza di filtri sul fondo che vengono distrutti, per esempio esempio, dalla pesca a strascico per gamberetti.

Vi sono alcune specie drasticamente in crisi: il tonno rosso, per esempio, si trova tra il 2 e il 3 per cento dei livelli di metà del 20° secolo. Il merluzzo è ridotto all'1 per cento della popolazione precedente, il che ha portato al collasso della pesca a Terranova e nel New England. Tutte queste specie trarrebbero beneficio dall'essere lasciate in pace in alto mare. Uno studio ha dimostrato che se la pesca in alto mare fosse vietata, i pescatori catturerebbero più pesce.