Gli imballaggi compostabili creano più difficoltà che vantaggi. E, senza un'adeguata etichettatura, sono proprio ingestibili.

Il mater-B e i suoi omologhi non sono compostabili in giardino. E anche gli impianti di compostaggio non ridono: l'etichetta che identifica un prodotto/imballaggio come compostabile non è sempre così facile da leggere, specialmente per i selezionatori che lavorano a grande velocità.

Sono sempre di più i comuni che impongono in tutte le manifestazioni piatti e posate compostabili. Anche nel settore degli imballaggi, i regolamenti locali sono sempre più restrittivi, a prescindere dalle attuali intenzioni governative sulla "Tassa sulla Plastica".

Grazie alle normative di supporto, i consumatori esperti e l'accesso alle infrastrutture di compostaggio, gli imballaggi compostabili dovrebbero essere una buona soluzione all'inquinamento da plastica. Ma non è così semplice.

Purtroppo, ogni giorno molte materie bio-plastiche, teoricamente compostabili, sono estratte da selezionatori e mandate in discarica. Perché? Il problema è essenzialmente di etichettatura.

La maggior parte degli articoli green, in particolare le materie plastiche compostabili, assomigliano esattamente alle loro controparti non compostabili. I contenitori, i coperchi e pure certi bicchieri differiscono dalla plasticaccia semplicemente per delle microscopiche scritte in rilievo, spesso sul fondo dell'articolo.

Anche le diciture sui prodotti stessi variano ampiamente, da "Compostabile" a "Biodegradabile", fino a dichiarazioni sulla provenienza, come "Fatto dal mais".

Attualmente, si riesce a capire qualcosa solo sulle bustine compostabili (già oggetto di una discutibilissima imposizione, vedi Sacchetti: assurda presa di posizione del Ministero Salute), che già differiscono marcatamente rispetto ai sacchetti di plastica, ma che hanno chiara la colorazione verde, le parole "compostabile certificato" e i loghi degli enti di certificazione. Per altre categorie di prodotti, in particolare piatti e posate, capire velocemente se sono effettivamente compostabili è una pura astrazione.

In assenza di etichette chiare, i compostatori preferiscono eccedere nello zelo. Così tendono a scartare oggetti non contrassegnati, dall'aspetto di plastica, per evitare la contaminazione. Anche le tazze di caffè in carta compostabili possono essere rimosse per paura di essere tazze di carta convenzionali rivestite in plastica. La plastica compostabile talvolta riporta un logo di certificazione o le parole "compostabile certificata", ma nessun selezionatore sarà in grado di individuare questa sottile etichetta.

I consumatori (così come le ONG e i media) sono sempre più confusi. "Questi materiali sono teoricamente compostabili, ma richiedono impianti di compostaggio industriali," ci dice una volontaria di un'associazione che si occupa di riciclo. "Ma chi fa il compostaggio domestico, praticamente chiunque abbia un giardino, non può utilizzarli. Abbiamo chiesto al Comune se si potevano gettare i sacchetti della spesa in MaterB nell'umido, e ci hanno risposto che gli impianti non devono essere intasati da quelle borsette, che quindi vanno nel secco, e cioè in discarica. È inammissibile!"

Il primo e più grande ostacolo al compostaggio è la mancanza di strutture industriali diffuse e programmi di raccolta porta-a-porta. Ma anche nelle regioni con infrastrutture di compostaggio, il compostaggio domestico dovrebbe essere incentivato, non scoraggiato.

Inoltre, se i compositori non sono in grado di identificare ciò che è compostabile e stanno estraendo questi oggetti dai loro camion e cumuli di compostaggio, questo provoca enorme frustrazione da parte di molti consumatori, che fanno la loro parte differenziando meticolosamente, e poi vengono a sapere che tutto il loro rifiuto finisce in discarica.

Occorre che autorità pubbliche, aziende e consumatori si accordino su standard di settore per l'etichettatura, chiari. Per esempio, non esiste un colore standard che rappresenti la compostabilità. I produttori dovrebbero collaborare per sviluppare questi standard.