L'economia del web ha devastanti effetti ambientali. Per questo motivo si stanno moltiplicando iniziative volte alla tutela della privacy e, perché no, del pianeta.

Una vasta area di dissenso contro i monopoli del web si sta coalizzando in rete. La parola d'ordine è decentralizzare, in nome della riservatezza e della salute del pianeta.

La spirale socio-economica che è stata innescata dal web ha generato società enormi che monopolizzano il settore dell'ICT (Information and Communication Technology), e si preparano a monopolizzare l'intera economia.

Ma l'effetto della rivoluzione digitale ha pesantissime ripercussioni anche dal punto di vista ambientale. È un problema trascurato, nella fallace convinzione che l'economia immateriale sia 'a basso impatto', che spostare bit sia un processo leggero, che produrre informazione non comporti spreco di energia e di materia, né produca rifiuti.

Purtroppo, se solo ci guardiamo intorno un po' più attentamente, scopriamo che questa folle corsa all'obsolescenza dei nostri dispositivi sta producendo fisicamente montagne di rifiuti, che da qualche parte in Asia (vedi L'Asia sepolta da una montagna di rifiuti elettronici) e in Africa (vedi Allarme per i vecchi smartphone non smaltiti) danno un miserabile, malsano e pericolosissimo lavoro a masse di disperati che cercano di estrarre da questa spazzatura il loro prezioso contenuto in metalli e terre rare. Ogni smartphone, pur pesando pochi grammi, si porta dietro 34 chili di rifiuti solo dalla roccia estrattiva e 100 litri di acqua inquinata (vedi L'iPhone e i suoi 34 chili di roccia).

Le aziende web fanno marketing millantando per i loro prodotti caratteristiche green che non stanno né in cielo né in terra (vedi Il greenwashing di Apple). In realtà i nostri messaggini hanno un impatto energetico, anche solo per raffreddare i server, anche se le multinazionali del settore sostengono, col greenwashing di cui sopra, di aver risolto il problema (vedi Greenwashing 2.0).

Il problema è che Internet, nata come rete orizzontale e plurale, negli ultimi anni ha subito un poderoso accentramento, che l'ha resa oggi proprietà di pochi, mostruosi enti, che hanno tutto l'interesse a fomentare il consumismo selvaggio, soprattutto informatico. Lo strumento di queste entità è l'automatica, sistematica e obbligatoria asportazione dei dati degli utenti, destinati ai server di queste aziende, che registrano, sempre e comunque, in una cartella a nostro nome il testo dei nostri messaggi, da dove li abbiamo mandati, a chi li abbiamo mandati, a che ora. Oppure quello che abbiamo fotografato, dove, con chi eravamo. Inoltre, qualunque cosa abbiamo fatto con le malefiche app.

C'è qualcuno che avverte tutto ciò come un problema, e cerca di reagire in qualche modo. Tra altri numerosi esempi, citiamo il progetto di Framasoft: De-google-ify Internet, oppure la sua versione italiana, Servizi.linux.it, promossa da Italian Linux Society, o ancora i progetti Nextcloud/owncloud, per la gestione autogestita di servizi cloud, il progetto , e il social network Diaspora. Si tratta di servizi liberi che mirano a sostituire quelli offerti dai giganti del web, ma senza il doloroso corrispettivo in termini di monopolio.

Una di queste organizzazioni, Exit, è nata in Italia e vuole avere uno sviluppo prettamente locale, agendo direttamente con le persone, incontrandole se possibile fisicamente, e diffondendo la cultura del fare da sé nel web.

"Siamo una comunità che intende autodeterminare la propria impronta tecnologica ed ecologica," sostiene Davide Marchi, uno dei curatori dell'iniziativa. "In parole più semplici, non vogliamo farci tracciare dalle multinazionali, per cui vogliamo costituire una rete nostra, orizzontale, che offra servizi paragonabili a quelli dei giganti del web, orientati sopratutto ai dispositivi mobili."

Cosa si intende per servizi web? "Cose come posta elettronica, cloud, sincronizzazione rubriche e agende, mailing list, etc. Questi servizi un tempo erano reperibili presso una pluralità di aziende e associazioni no-profit," prosegue Marchi. "Oggi sono offerti da poche, gigantesche compagnie che lucrano schedando e incitando all'acquisto miliardi di ignari consumatori."

Ma l'attività di Exit non si ferma qui: "vogliamo acquistare telefonini usati, installarvi sistemi che possiamo autogestire, e insegnare a fare tutte queste cose." Produrre servizi e sistemi operativi autogestiti, significa moltiplicare la vita utile dei telefonini, ed essere meno esposti al selvaggio incitamento consumistico imposto dai social media.

Sono in molti a credere che la tecnologia ci possa salvare dall'inquinamento. In questo senso è molto singolare che la critica alla tecnologia provenga da un gruppo di professionisti dell'informatica: "Noi di EXIT giudichiamo la tecnologia informatica contemporanea nociva per l'umanità," dichiara Marchi, "e all'obiezione secondo cui la tecnologia sarebbe neutra, e sarebbe positiva o negativa in funzione dell'uso che ne viene fatto, noi rispondiamo con un secco NO."

"Un coltello è costituito da una lama e da un impugnatura, io vedo la lama, ne constato le dimensioni, il grado di affilatura, la durezza, il peso, sono in grado di impugnarlo, di sentirlo tra le mie mani, e così via. Nel caso di un applicazione software io vedo solo ciò che lo sviluppatore desidera che io veda. Io interagisco solo con la parte di software a cui sempre lo stesso sviluppatore mi permette di accedere," spiega Marchi.

Ma esiste una parte di questa applicazione che che l'utente non vede e a cui non ha accesso. "Questa è la parte," insiste Marchi, "che non a caso genera profitti per l'industria del web, trasmettendo dati contro la volontà dell'utente. Ecco dunque il perché questo tipo di tecnologia non è neutra, ma nociva."

"Il vero problema," conclude Marchi, "è la dipendenza che abbiamo sviluppato nei confronti del virtuale. Ma è una sindrome che si può curare, inserendo quotidianamente nella nostra vita relazioni e azioni autentiche, che finiranno inevitabilmente per sostituire quelle virtuali, tossiche per noi e per il pianeta."