Secondo una ricerca, la conservazione di specie formanti habitat (come i coralli) è una priorità di conservazione. Mari italiani tra i più a rischio, in questo momento.

Gli scienziati identificano le strategie per conservare gli ecosistemi oceanici. Sotto accusa pratiche come la pesca a strascico nei mari profondi, l'eccesso di plastica e il cambiamento climatico.

Più di 100 scienziati hanno evidenziato obiettivi chiave per la conservazione e la gestione delle acque profonde, tra cui le specie che sostengono l'habitat come i coralli e le attività umane come le miniere, in una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Ecology and Evolution.

Il "bioma più grande e meno esplorato" del pianeta vive a più di 200 metri sotto la superficie del mare, scrivono Roberto Danovaro, biologo marino dell'Università Politecnica delle Marche, e i suoi colleghi da Europa, Stati Uniti, Australia e Cina.

Sebbene la ricerca sia frammentata, è diventato sempre più chiaro che gli ecosistemi dei fondali marini profondi sono altamente complessi, che ospitano forme di vita diverse e abbondanti e sono strettamente collegati ai cicli biogeochimici che supportano tutta la vita sul pianeta.

Tra queste forme di vita c'è "una moltitudine di affascinanti specie rare", tra cui squali di acque profonde come il Mitsukurina owstoni, calamari giganti come Arthiteuthis spp, il polpo Dumbo Opisthoteuthis californiano, habitat unici e costruttori di ecosistemi, tra cui coralli e spugne.

Tuttavia, questi ecosistemi vulnerabili affrontano minacce, indirettamente e direttamente, da una miriade di pressioni umane tra cui l'inquinamento da plastica, i cambiamenti climatici, la pesca e l'estrazione di petrolio e gas.

"Gli attuali scenari di crescita delle attività marine, prevedono un maggiore sfruttamento delle risorse degli oceani profondi, con associati impatti sconosciuti sugli ecosistemi delle acque profonde", scrivono Danovaro e colleghi.

Nel tentativo di identificare e dare priorità alle strategie per proteggere le acque profonde, hanno inviato un questionario agli esperti di tutto il mondo e raccolto risposte da 112 scienziati.

L'indagine ha raggruppato gli elementi ricercati dalla letteratura di acque profonde in base a cinque variabili ecologiche ritenute essenziali, tra cui biodiversità, funzioni degli ecosistemi, impatto e valutazione dei rischi, cambiamenti climatici e conservazione degli ecosistemi.

I risultati hanno mostrato che la conservazione di specie che formano habitat come coralli, spugne, vermi tubolari e bivalvi è stata considerata la più importante su cui indirizzare gli sforzi di conservazione.

In linea con ciò, gli esperti e gli autori concordano di comune accordo sul fatto che il danno da habitat deve essere monitorato, tenendo conto delle gravi preoccupazioni per gli effetti della pesca a fondo e dell'estrazione in acque profonde.

Macro e megafauna erano la massima priorità per gli intervistati nell'ambito del monitoraggio della biodiversità.

Da questa indagine è stata ricavata una mappa delle zone più a rischio. Le profondità marine del Tirreno lungo le coste di Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna sono tra gli habitat più vulnerabili del Mediterraneo. La loro biodiversità è minacciata dalle attività di pesca a strascico e dal possibile sfruttamento minerario.

"Gli habitat vulnerabili delle profondità marine per l'Italia si trovano nel mar Tirreno, perché è lì che si riproducono i pesci che peschiamo", precisa Danovaro. Oltre alla pesca, in particolare quella a strascico, "le minacce a questi ambienti arrivano dalle attività minerarie perché le coste tirreniche sono ricche di montagne sottomarine, e ovviamente dall'inquinamento e dal riscaldamento globale". Sono una parte importantissima del pianeta, che ospitano un enorme quantità di habitat sconosciuti.

"Gli abissi garantiscono la metà dell'ossigeno del pianeta", prosegue Danovaro.