I potenti del mondo, da Davos, lanciano un messaggio: il cambiamento climatico c'è e va affrontato. Come? Quando? Cosa c'è sotto?

A Davos, i manager dei colossi economici del pianeta hanno discusso del pericolo clima. Pochi dettagli sono emersi sulle loro reali intenzioni.

I titani, le imprese che per decenni hanno riso sui cambiamenti climatici, hanno deciso di dedicare il Forum economico mondiale di quest'anno al riscaldamento globale, con incredibile entusiasmo.

Pur avendo in precedenza minimizzato il pericolo da anni urlato dagli scienziati, i manager e i dirigenti delle società si sono chiaramente schierati nell'affermare che l'accelerazione delle temperature globali comporta un rischio significativo per la società e per le imprese. Mica per la natura selvaggia e l'habitat planetario, ovviamente, ma cerchiamo di non sottilizzare.

Per parlare di conversione completa mancherebbe un piccolo particolare, ovvero sapere cosa esattamente fare a riguardo e con quale rapidità. Ma anche qui, non sottilizziamo.

Dopo mesi di proteste climatiche mondiali che hanno attivato milioni di giovani, una serie di aziende ha dichiarato a Davos che ridurranno le loro emissioni di gas serra a zero entro il 2050 o prima. Una coalizione di importanti istituti finanziari, che rappresenta un attivo di 4000 miliardi di euro, ha dichiarato che prenderà provvedimenti per ridurre al minimo gli investimenti in attività ad alto tasso di carbonio nei suoi portafogli e ha fatto pressioni su altri investitori per aderirvi.

Un gruppo di 140 tra le più grandi aziende mondiali si è impegnata a sviluppare una serie di standard comuni per tracciare la responsabilità ambientale e sociale. E le aziende e i leader del governo, tra cui il presidente USA Trump, noto più che altro per clamorose marce indietro in ambito ambientale e climatico, hanno affermato che avrebbero piantato 1000 miliardi di nuovi alberi in tutto il mondo, secondo la volontà di Marc Benioff, uno straricco col pallino della filantropia.

"L'albero è una questione bipartisan", ha dichiarato Benioff. "Nessuno è anti-albero." Bisognerebbe dirlo agli amministratori di qualche città italiana, tutti presi a tagliare alberi come se si fosse alla vigilia dell'Apocalisse.

Il problema è noto: la finestra temporale per evitare gli impatti peggiori dei cambiamenti climatici (per sapere cosa significa impatti peggiori, vedi Il riscaldamento globale spiegato bene) si sta rapidamente chiudendo, secondo numerosi rapporti scientifici (vedi Fermiamo il riscaldamento, o saranno guai).

La novità è che ora i grandi nemici dell'ambiente, le grandi imprese incolpate per decenni di inazione, quando non addirittura di negazionismo climatico, ora riconoscono la necessità immediata di un cambiamento. E ce lo vengono a insegnare a noi.

"Tutte le misurazioni mostrano chiaramente che non stiamo ancora facendo abbastanza," ha detto a Davos Feike Sijbesma, amministratore delegato di DSM, una società olandese che opera in ambito sanitario. E allora giù promesse, una gigantesca e rutilante operazione di greenwashing.

BlackRock, il più grande investitore istituzionale del mondo, ha affermato che collocherà il cambiamento climatico al centro della sua strategia di investimento. Microsoft ha affermato che non solo diventerà azienda a carbonio negativo (cosa non riesce a fare la contabilità ambientale!), riducendo più gas serra di quanto ne produca, ma in qualche modo laverà tutti i suoi più antichi peccati, rimuovendo tutte le emissioni di CO2 che abbia mai prodotto. Lloyds, il gruppo finanziario britannico, si è impegnato a ridurre di oltre il 50% le emissioni di carbonio generate dai progetti finanziati entro il 2030.

Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, si è presentato alle riunioni indossando una sciarpa di lana che rappresenta il riscaldamento dell'era industriale, un regalo di Natale di un'organizzazione no profit che si occupa di questioni climatiche.

"Non ho mai visto esplodere una questione sociale come questa", ha dichiarato Paul Tudor Jones II, investitore e fondatore di Just Capital, che classifica le aziende in base a fattori di sostenibilità. "Ogni singolo amministratore o consigliere deve capire qual è la propria impronta di carbonio e cosa fare a riguardo." Già, ma per ora vediamo solo girare grandi proclami.

Dietro questa raffica di proclami aziendali c'è una crescente preoccupazione per i rischi tangibili per i profitti, compresa la prospettiva che le agenzie di rating tengano conto del rischio climatico, della pressione dei dipendenti più giovani, del cambiamento delle preferenze dei consumatori e di politiche governative, per esempio una tassa sul carbonio.

Gli eventi meteorologici estremi stanno già causando il caos economico. Si stima che gli incendi della California l'anno scorso abbiano causato danni per 23 miliardi di euro. Pacific Gas & Electric, il più grande produttore di energia dello stato, ha presentato istanza di fallimento.

Jesper Brodin, amministratore delegato di Ikea, azienda non propriamente nota per la sua onestà ambientale (vedi Ikea investe nel riciclo), ha affermato che la sua azienda sta già subendo l'impatto. Le gravi inondazioni negli Stati Uniti hanno temporaneamente chiuso molti dei suoi negozi. I prezzi dell'energia in Svezia sono saliti alle stelle durante una recente ondata di caldo. Gli incendi in Australia hanno interrotto gli affari lì. "Se non lo facciamo per la Terra, facciamolo almeno per noi," sembra dire Brodin.

Arne Sorenson, amministratore delegato della catena alberghiera Marriott, ha affermato che anche per loro si sta facendo pesante. "Abbiamo hotel a Puerto Rico che sono ancora chiusi," ha detto. "Vedremo l'impatto di incendi e tempeste".

Un rapporto della Bank for International Settlement, che rappresenta le banche centrali, intitolato "Il cigno verde," afferma che i cambiamenti climatici potrebbero causare la prossima crisi finanziaria. Mark Carney, il governatore uscente della Banca d'Inghilterra che ha guidato gli sforzi per convincere le banche centrali a condurre prove di stress per valutare gli impatti climatici sui settori, ha affermato che le aziende devono esaminare e divulgare le proprie strategie e scadenze per ridurre le proprie impronte di carbonio.

Grandi manager, con salari a cinque zeri (minimo) sembrano tutti essere diventati Greta Thunberg, ma dettagli su come passare rapidamente da un'economia basata sui combustibili fossili a una a emissioni zero, nisba! Solo una parte delle aziende globali rivela i rischi finanziari posti dai cambiamenti climatici. Ancora meno hanno fissato i propri obiettivi e calendari per fare ciò che la scienza richiede: ridurre della metà le emissioni totali di gas serra nel prossimo decennio.

Gli investimenti globali nelle energie rinnovabili hanno toccato 263 miliardi di euro nel 2018, superando di gran lunga gli investimenti in nuove attività a combustibili fossili. Ma complessivamente, l'eolico e il solare rimangono una piccola parte della produzione totale di energia.

Alison Martin, delle Assicurazioni Zurich, sostiene che la vera prova del cambiamento arriverà quando gli investitori inizieranno a uscire dalle società ad alto contenuto di carbonio, in particolare quelle senza piano di transizione. "Che cosa causerà il cambiamento?", dice Martin: "i soldi. Quando cominceranno a migrare, allora le aziende saranno costrette a fare delle scelte." E i capitali pare siano ancora ben ancorati ai business più proficui, anche quelli a effetto serra.

Il rapporto annuale annuale sui rischi globali del World Economic Forum ha classificato i rischi ambientali e climatici tra le prime cinque preoccupazioni che il mondo dovrà affrontare per la prima volta nel prossimo decennio.

Questa è la vulgata mainstream, quella ufficiale. Peccato però che gli operatori economico-finanziari non abbiano per la testa questo tipo di preoccupazione: un sondaggio sui dirigenti aziendali sui 10 principali rischi nei prossimi 12 mesi non ha nemmeno fatto menzione del clima.

I sospetti che si tratti ancora di una maxi-operazione di facciata aumentano.