L'acquisto di 1,5 miliardi di dollari di bitcoin da parte di Tesla chiarisce quanto le aspirazioni ambientaliste di Musk fossero false e strumentali. La decisione di Tesla è un vero e proprio atto di vandalismo ambientale.

Dopo che Tesla ha acquistato 1,5 miliardi di dollari (1, 25 miliardi di euro) di bitcoin e ha annunciato che accetterà bitcoin come pagamento in futuro, il prezzo del bitcoin ha raggiunto il massimo storico, partendo dai 38 mila dollari, arrivando a sfiorare i 60 mila dollari, per poi ripiegare sui 47 mila al momento della pubblicazione.

Vista la fama di asso pigliatutto del magnate sudafricano (vedi Pericoli pubblici: Elon Musk), questo 'endorsement' ha una certa autorevolezza, soprattutto in una platea irrazionale ed emotiva come quella degli investitori e dei trader. Tesla ha dato al bitcoin un grande impulso che inevitabilmente si tradurrà in più emissioni di gas serra da parte della criptovaluta spreca-energia.

Ma l'effetto è preoccupante soprattutto dal punto di vista ambientale ed energetico: quando i prezzi sono alti, il "mining" di bitcoin, ovvero la creazione dal nulla di nuove monete attraverso calcoli computazionali, che in parte servono alla verifica delle transazioni, aumenta. Anche se questa estrazione mineraria è del tutto virtuale, si traduce in emissioni di gas serra che alimentano una crisi climatica nel mondo reale (vedi Il danno ambientale dei Bitcoin).

Abbiamo già parlato su queste pagine dei bitcoin moneta creata da pezzi del movimento hacker per eliminare la necessità di una banca che supervisioni le transazioni finanziarie. L'imparzialità, la sicurezza, e l'autorità della banca sono sostituiti da un complesso registro ubiquitario crittografato (la celeberrima Blockchain) la cui complessa ed energivora manutenzione è affidata ai calcoli dei cosiddetti 'minatori', attraverso la soluzione di problemi numerici estremamente complicati.

I minatori hanno bisogno di macchine potenti, e quindi affamate di energia, per risolvere questi problemi. Ma un pianeta già oberato di eccesso di gas-serra non può permettersi questo spreco, che consiste in ulteriore inquinamento climatico. Questi calcoli sono stati progettati per essere deliberatamente difficili da risolvere, per fornire la cosiddetta “proof of work” (prova di lavoro) atta a dissuadere le persone dal tentare di corrompere la blockchain.

Secondo lo schema progettato dai creatori di questa criptomoneta, l'unico modo per provare di aver prodotto 'onestamente' dei bitcoin, è bruciare quantità elefantiache di elettricità attraverso orrendi puzzle informatici. Il costo delle macchine e di tutta l'energia che consumano rende estremamente costoso estrarre bitcoin. Ma le quotazioni stellari a cui ci stiamo abituando rendono conveniente questa assurda attività.

Capire l'intera impronta di carbonio del bitcoin è assai complicato. I minatori sono spesso in movimento, a caccia di elettricità a buon mercato ovunque possano ottenerla. La fonte di quell'elettricità può essere difficile da rintracciare. La maggior parte dei bitcoin viene estratta in Cina, dove è alimentata presumibilmente da carbone, talvolta da energia idroelettrica, abbondante durante la stagione delle piogge del paese.

Per fortuna, le previsioni più terribili di un'apocalisse energetica determinata dai bitcoin non si sono avverate. Uno studio del 2017 prevedeva che l'estrazione di bitcoin avrebbe consumato tutta l'energia del mondo entro il 2020 (ne abbiamo parlato in L'impatto dei bitcoin aumenta). Sebbene il 2020 sia stato un anno piuttosto problematico, il bitcoin non è stato certo il problema maggiore.

La questione rimane comunque piuttosto preoccupante, considerando che non sembra esserci uno strumento per ridurre questo impatto, a parte il prezzo. Da un lato è vero che le macchine che estraggono bitcoin sono diventate più efficienti nel tempo, ma questo non risolve il problema energetico: il bitcoin è stato costruito sulla premessa dell'inefficienza, e quindi i suoi enigmi diventano più difficili man mano che si avvicina il tetto massimo, compensando i miglioramenti tecnologici.

La futura impronta di carbonio di bitcoin è altrettanto difficile da analizzare. Nuove regole e politiche come imporre una tassa sul carbonio sull'estrazione di bitcoin, potrebbero abbassare il peso dei bitcoin sul clima. Ma occorre uno sforzo mondiale coordinato per affrontare il cambiamento climatico, visto che i minatori potrebbero spostarsi per eludere le normative sul bitcoin e sul loro utilizzo di energia, alla ricerca di una sorta di 'paradiso energetico'. Visto com'è andata coi paradisi fiscali, che godono tuttora di ottima salute, non c'è da farsi molte illusioni.

Le criptovalute che sono nate dopo i bitcoin, hanno abbandonato l'utilizzo della "prova di lavoro" come sistema di sicurezza. Le alternative emergenti consumano poca energia. Il modello chiamato "proof of stake" (prova di essere parte del gioco) non richiede enigmi tanto complessi per convalidare le transazioni. Gli investitori attenti al clima dovrebbero considerare queste differenze, indipendentemente dal fatto che siano interessati alle criptovalute o ai veicoli elettrici.

Se il bitcoin fosse un paese, il suo consumo annuo di elettricità lo metterebbe al 30° posto nel mondo. Secondo il Cambridge Center for Alternative Finance, userebbe poco meno dell'energia elettrica consumata dalla Norvegia, e poco più dell'Argentina. Se vogliamo una prova ulteriore della scelleratezza della mossa di Elon Musk, il consumo di energia di bitcoin è aumentato costantemente da ottobre 2020, quando il prezzo del bitcoin è aumentato.

Gli ambientalisti (e i ribassisti) di tutto il mondo speravano nello scoppio imminente di quest'assurda bolla finanziaria, ma l'offerta di Tesla sui bitcoin ha dato al loro prezzo (e alle loro emissioni di anidride carbonica) un ulteriore incremento.

Questo chiarisce una volta per tutte la strumentalità della presunta mission di Tesla, ovvero "accelerare la transizione del mondo verso l'energia sostenibile" attraverso l'elettrificazione della mobilità. Al miliardario col parrucchino non interessa l'energia sostenibile. Con il suo abbraccio ai bitcoin, Tesla e Musk stanno accelerando l'ascesa di una criptovaluta che divora energia in modo insostenibile, sicuramente inefficiente. La decisione di Tesla appare essere un vero e proprio vandalismo ambientale.

L'acquisto da 1,5 miliardi di dollari di bitcoin da parte di Tesla aumenta tecnicamente l'impronta di carbonio di Tesla come azienda. Infatti non basta limitarsi alle emissioni dirette della casa produttrice, occorre considerare anche le emissioni "indirette" dell'azienda, che comprendono anche l'inquinamento lungo la catena di approvvigionamento e quello derivato dall'uso dall'uso dei suoi prodotti. Queste emissioni indirette costituiscono già la maggior parte dell'impronta di carbonio di Tesla, come accade per molte aziende, secondo il suo rapporto sulla sostenibilità del 2018. Tuttavia, già a partire dal 2019 non sono stati rilasciati dati sulle emissioni indirette dell'azienda.

Gli acquirenti ecosensibili, che poi sono la maggioranza di chi accarezza l'idea di un'auto elettrica, dovrebbero riflettere sull'opportunità ambientale di una vettura a batterie (vedi Auto elettriche: servono davvero?). Ma, a questo punto, se la scelta fosse quella, per motivi legati magari all'inquinamento urbano, sarebbe opportuno considerare i veicoli elettrici di case automobilistiche diverse da Tesla.

Non si vuole qui parlare di boicottaggio della casa statunitense, ma val la pena tener presente che una casa diversa, anche se dovesse essere in ritardo tecnologico rispetto a Tesla, potrebbe non investire nei diabolici bitcoin i nostri sudati risparmi.