In questo momento, chiunque pubblicizzi qualcosa di ecologico fa, inevitabimente, greenwashing. Le aziende devono cercare applicazioni concrete per promuovere la sostenibilità, anche attraverso la collaborazione con attivisti, governi e ONG.

Il greenwashing è spesso difficile da riconoscere ma è diventato parte integrante della comunicazione economica odierna. Sono necessarie innovazioni e pratiche sostenibili che permettano realmente la salvaguardia ambientale, e non chiacchiere.

"La società X" (nota per il suo scarso rispetto per l'ambiente) "annuncia una partnership con la società di tecnologia Y per perseguire nuove tecnologie più amiche dell'ambiente." Notizie di questo tipo provocano scetticismo a chi ha un minimo di sensibilità ambientale.
Leggere parole come "tecnologie più amiche dell'ambiente" dette da imprese che invece hanno un elevato impatto sulla natura, crea immediatamente sospetto e il pensiero punta dritto al greenwashing.

La scelta delle aziende di fare propaganda green, quando non è sostenuta da azioni concrete, è inevitabilmente ipocrita: appare evidente il loro tentativo di mostrare una facciata verde pubblicizzando azioni rispettose dell'ambiente, fatte controvoglia, solo per ottenere il consenso dei consumatori, degli attivisti e del grande pubblico. Un esempio è la sbandierata mossa verso l'economia circolare fatta dalla Apple, che in realtà maschera un comportamento assai meno circolare e sensibile di quanto mostrato al pubblico.

Secondo l'esperto di strategia Michael Lenox, l'utilizzo del greenwashing non è facilmente riconoscibile. Come spiega Lenox, la consapevolezza di fare false rivendicazioni non è scontata: a volte succede che un'azienda sia semplicemente "caduta" nel tranello. Ma, senza gli strumenti adatti è dura capire per poi poter informare i consumatori, i quali reagiscono sempre secondo il loro istinto e le loro abitudini, e talvolta la comunicazione si rivela un boomerang.

Secondo alcune analisi è risultato che molte aziende ormai evitano la pubblicità per evitare di essere accusate di greenwashing. Le aziende chimiche, per esempio, hanno un impatto ambientale molto elevato e di conseguenza sono osservate speciali dagli ambientalisti. Senza addentrarci sul terreno della possibilità di un'economia priva dell'industria chimica, è evidente che chi opera in questi settori dovrebbe evitare una comunicazione basata sul rispetto dell'ambiente.

Del resto, le aziende possono contare su una schiera di consumatori niente affatto interessati alla salute del pianeta. Questo accade soprattutto negli USA, dove i consumatori abbracciano l'ambientalismo solo quando è conveniente e poco costoso, e al contrario lo ignorano e lo evitano quando sfida i comfort a cui sono abituati, non ultimo il risparmio di denaro.

Le aziende si trovano così a dover bilanciare la domanda dei clienti per prodotti desiderabili e convenienti, con le pressioni da parte degli attivisti, dei governi e del pubblico ad aderire a un'etica ambientale. Il problema è che tale bilanciamento, spesso, si realizza stravolgendo l'azienda, sia dal punto di vista dei processi produttivi, sia dal punto di vista dell'utilizzo finale dei prodotti.

In altre parole, le aziende devono attuare pratiche e innovazioni veramente sostenibili fornendo prodotti rispettosi dell'ambiente, che i consumatori siano disposti ad acquistare. Prima di tutto, è necessario superare le cosiddette asimmetrie di informazione, per dirla alla Stigliz, tra produttori e consumatori, per far sì che quest'ultimi possano conoscere quando acquistano produttori orientati alla sostenibilità.

Un'altra soluzione per stimolare innovazioni e pratiche sostenibili è coinvolgere attivisti e ONG come partner nel mondo degli affari. Gli attivisti ambientali sono spesso considerati dalle aziende come nemici, in quanto molti di essi utilizzano i media per esporre le pratiche non green e fanno pressione sulle aziende per incentivarle a cambiare i loro sistemi.

Tuttavia, se le imprese riuscissero a trovare il modo per collaborare con ONG e attivisti, sarebbe un cambiamento positivo e ricco di benefici per tutti i protagonisti. Un esempio è la collaborazione di McDonald's con il Fondo per la Difesa Ambientale per sostituire i propri contenitori in polistirolo con prodotti in carta riciclata. L'azienda di fast-food rimane una minaccia per l'ambiente e soprattutto per la cultura dell'alimentazione, ma almeno un passo avanti, anche se su un aspetto marginale, è stato fatto.

Infine, l'azione del governo può incoraggiare sia le innovazioni che le pratiche sostenibili attraverso i prezzi, gli incentivi fiscali, le sovvenzioni e le sanzioni per la tecnologia inquinante. È un aspetto spinoso, visto che l'intervento statale è sempre, inevitabilmente, ingombrante e molesto: per esempio, chi valuta quali nuove tecnologie e prodotti alternativi siano veramente più ecologici e più puliti di quelli esistenti? E con che competenza?

In conclusione, il greenwashing è una pratica che è diventata ormai parte integrante della quotidianità dei consumatori ma che allo stesso tempo gioca a nascondino all'interno dell'economia odierna, risultando difficile da riconoscere. Le imprese operano in un contesto molto complesso e globalizzato che richiede un pensiero sofisticato, e collaborazione tra settori.

Quindi, piuttosto che tentare di evidenziare alcuni aspetti marginali delle loro attività etichettandoli "green", i manager dovrebbero passare oltre la superficie e cercare di integrare la sostenibilità come valore fondamentale nella loro missione, che è la chiave di tutto il cambiamento duraturo, non solo nelle singole imprese, ma in tutta la società.