Alcuni indizi rivelano la prossima grande mossa dell'industria petrolifera e del gas, falcidiata dal calo della domanda di combustibili fossili: un mare di plastica si prepara a invadere il mondo.

Le aziende petrolifere, chiamate affettuosamente Big Oil, sono state duramente colpite dai programmi energetici di Stati Uniti, Unione Europea e Cina, volti a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Ancor più colpite dalla pandemia di coronavirus, tanto che Royal Dutch Shell ha visto i suoi profitti calare del 71% tra il 2019 e il 2020. Milioni di aziende sarebbero fallite per molto meno.

Ma non basta: il futuro è ancor più fosco, se è vero che aumenterà la trazione elettrica, quella alimentata dalle energie rinnovabili. Il calo della domanda di petrolio e gas naturale sarà ancora più marcato. Tuttavia, c'è ancora una speranza per il settore. Hanno previsto che l'etano, un sottoprodotto del gas naturale utilizzato per produrre plastica, sarà un mercato in crescita.

Le moderne raffinerie non si limitano a frazionare il prodotto greggio in gas, benzine, gasolio, oli lubrificanti e peci. Attraverso un procedimento chiamato 'cracking', sono in grado di rompere le molecole e ricavare percentuali predeterminate di tutte queste materie, a cui si aggiunge la plastica, a seconda delle necessità commerciali. È così che da una sovrapproduzione di gas, come per magia, si può produrre plastica, come se il mondo non ne avesse già abbastanza.

shell_etano.jpgTeake Zuidema, scrittrice e fotografa per Nexus Media, ha fatto un viaggio lungo il fiume Ohio, in Pennsylvania (USA), e ha scoperto che la plastica avrà un posto di rilievo nel futuro del settore petrolifero e del gas, con tremende conseguenze per l'ambiente. Nella contea di Beaver, vicino al confine con l'Ohio, un vasto complesso di acciaio e cemento sta sorgendo sulla riva meridionale del fiume. Nei prossimi due anni, Shell utilizzerà questa struttura, che costerà 6 miliardi di dollari, per trasformare il gas etano, ricavato dal fracking (vedi Ancora sul fracking), in polietilene, un tipo di plastica.

Zuidema ha descritto un sistema di condutture di 160 km, per portare 100.000 barili di etano al giorno nell'impianto di cracking, che ne spaccherà le molecole per produrre plastica. Come sempre avviene per il settore, a un enorme impatto ambientale corrisponde un impatto sul lavoro piuttosto modesto: a regime, la fabbrica impiegherà circa 600 persone a tempo pieno. Un po' poco per rilanciare l'economia.

Permessi speciali saranno accordati alla produzione di inquinamento. Un'indagine dell'emittente televisiva di Pittsburgh WTAE ha scoperto che all'impianto di cracking sarà consentito di produrre più emissioni rispetto ai peggiori inquinatori dello stato. L'impianto potrà produrre più di 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, oltre a più di 500 tonnellate di composti organici volatili, responsabili di mal di testa, nausea e danni al sistema nervoso. La gente del posto teme che l'impianto di cracking lasci una scia di contaminazione proprio come le acciaierie che sono venute prima.

Ma la cosa interessante è che tutto questo inquinamento atmosferico, servirà a generare un flusso costante di plastica difficilmente riciclabile, la maggior parte della quale finirà come rifiuto.

Tutto questo si scontra con la crescente impopolarità della plastica, tanto che Shell ha aderito all'Alliance to End Plastic Waste, un gruppo composto principalmente da società petrolchimiche, che prevede di investire 1,5 miliardi di dollari per ridurre al minimo i rifiuti di plastica e promuovere il riciclo.

Un comportamento, quello di Shell, che pare essere schizofrenico, ma solo apparentemente. I soldi che investe nel disinquinamento della plastica sono solo greenwashing. Le cifre vere (6 miliardi solo per l'impianto di Beaver, ricordiamo) sono investite per continuare a produrre prodotti di plastica. Oggetti che esauriscono la propria utilità in pochi minuti, ma poi rimangono nell'ambiente per 450 anni.

Negli Stati Uniti, meno del 10% della plastica viene effettivamente riciclata. A livello mondiale, siamo sul 14%. Nello stabilimento Greenstar Recycling, a sole 20 miglia a sud dell'impianto di cracking della Shell, si accumulano rifiuti di plastica che l'impianto non riesce a trattare, ma questa è solo la punta dell'iceberg.

Gran parte della plastica che non viene bruciata o riciclata finisce negli oceani, nei laghi e nei corsi d'acqua. Prepariamoci a vedere aumentare questi flussi. Big Oil è già all'opera.