Dispersione incontrollata di mascherine, incentivi a pioggia anche su attività inquinanti e climalteranti, sospensione delle politiche per il clima e per la preservazione delle foreste, consumismo selvaggio a causa dell'E-commerce: il COVID, nonostante tutto, sta danneggiando l'ambiente.
Quando i lockdown da COVID-19 hanno conquistato il mondo lo scorso inverno, è stato quasi come se alla natura fosse stata data la possibilità di respirare: le città più inquinate d'Europa (in Renania-Westfalia e nella Pianura Padana) sono emerse da sotto uno strato di smog, e i canali di Venezia erano limpidi e privi di sedimenti.
La "guarigione" della natura sembrava potesse essere il lascito della pandemia, ma ci siamo presto resi conto che non era così. Man mano che le restrizioni si affievolivano e le persone si adattavano a una "nuova normalità", è stato sotto gli occhi di tutti che gli effetti positivi del COVID-19 sarebbero stati di breve durata. E anzi, i nostri sforzi per combattere la pandemia, sia per la sicurezza che per l'economia, stanno causando conseguenze ambientali negative.
Un primo problema è stato percepito subito da tutti: l'aumento dell'uso di dispositivi di protezione individuale (DPI) usa-e-getta come mascherine, guanti e salviette, ha pesantemente impattato sulle strutture di raccolta e smaltimento. L'inquinamento da plastica era un problema sentito anche prima di questa pandemia, ma l'aumento dei rifiuti sanitari lo ha aggravato.
Migliaia di mascherine sono già state avvistate sparse per le spiagge o a galla negli oceani, rappresentando una minaccia per gli animali acquatici che le scambiano per cibo. Ciò contribuisce al degrado della biosfera, la parte vivente del pianeta.
Anche la comunità scientifica continua ad ammonire sull'ubiquità delle plastiche monouso e il loro impatto nocivo su fiumi e oceani. Nelle zone acquatiche, la plastica usa-e-getta causa malattie e morte di coralli, pesci, uccelli marini e mammiferi marini. La pandemia ha esacerbato tutti questi problemi con una quantità esorbitante di plastica aggiuntiva. Il passaggio alla plastica monouso si è fatto strada anche nei pubblici esercizi, per ragioni di apparente asetticità: pensiamo per esempio alle patatine confezionate servite come snack nei bar.
Occorrerebbe una seria pianificazione politica per incentivare le maschere riutilizzabili, ma la direzione presa attualmente è nettamente a favore dell'usa-e-getta. L'industria sta promuovendo in modo massiccio l'uso di salviettine disinfettanti, mascherine chirurgiche e guanti in lattice. Questi dispositivi sono progettati per essere monouso e contengono plastica.
Lo smaltimento corretto delle mascherine è nei bidoni dell'indifferenziato, che devono assolutamente avere un coperchio, per impedire che il dispositivo finisca all'aperto, e quindi disperso. Prima di gettarle, è importante tagliare entrambi i cordoncini per le orecchie, per assicurarsi che gli animali non possano aggrovigliarsi. Ma, bene che vada, ci sarà un forte aggravio delle discariche.
Dal punto di vista del clima, c'è stata la riduzione dei gas a effetto serra a marzo e aprile 2020. Con l'entrata in vigore dei lockdown, i viaggi aerei erano cessati, il traffico automobilistico diminuito e il lavoro in fabbrica interrotto. Le emissioni di anidride carbonica, la principale fonte di riscaldamento globale, erano diminuite del 17% rispetto allo stesso periodo del 2019.
Ma anche le emissioni di CO₂ sono riprese. A giugno 2020, le emissioni di gas serra sono solo del 5% inferiori rispetto allo scorso anno. In totale, l'Agenzia internazionale dell'energia stima che il tasso di emissione per il 2020 si ridurrà solo del 6%. Secondo altri esperti, il numero sarà ancora più basso, circa dal 3 al 4%.
Dunque, il COVID-19 non peggiorerà effettivamente il problema del cambiamento climatico per quanto riguarda le emissioni, ma non farà molta differenza. Considerando che in aprile il traffico automobilistico è stato dimezzato rispetto a quello di aprile 2019, e che per mesi il traffico aereo si è praticamente fermato, non dobbiamo stupirci di quanto siano calate le emissioni a causa della pandemia, ma di quanto poco siano effettivamente calate.
La quantità di congestione del traffico sta già tornando ai livelli pre-pandemici e potrebbe persino aumentare se le persone abbandonassero i trasporti pubblici (oggi nell'occhio del ciclone per probabilità di contagio) e la condivisione delle auto per evitare potenziali possibilità di infezione.
I primi dati confermano il passaggio all'uso delle auto private. A giugno, la Metropolitan Transportation Authority (MTA) di New York City, una delle metropolitane più affollate al mondo, ha registrato un calo del 74% dei passeggeri. È vero che i viaggi aerei si sono fortemente ridimensionati, ma il traffico aereo costituisce solo una minoranza delle emissioni dei trasporti e la maggior parte dell'inquinamento legato ai viaggi proviene dalle emissioni stradali.
Dopo un iniziale ricorso massiccio al telelavoro, le aziende, negli ultimi mesi, stavano abbandonando le politiche di lavoro a distanza, facendo aumentare il traffico automobilistico. È probabile che, dopo la seconda ondata di lockdown, si tornerà a viaggiare prevalentemente in auto.
Un altro problema è costituito dai tentativi dei vari stati nazionali di sostenere l'economia colpita da COVID, in maniera indiscriminata. Il governo degli Stati Uniti ha iniettato denaro nell'industria dei combustibili fossili attraverso sussidi straordinari. In totale, si stima che quasi 500 miliardi di euro di fondi pubblici sia stato pompato nelle industrie del carbonio in tutto il mondo, senza aver favorito in alcun modo le energie rinnovabili.
La Cina, i cui livelli di emissioni sono tornati ai livelli precedenti la pandemia, ha recentemente consentito lo sviluppo di più centrali elettriche a carbone (vedi La Cina torna al carbone?). Grazie a questi interventi pubblici, il COVID-19 sta accelerando il cambiamento climatico.
Per salvare il pianeta, avremmo bisogno di ridurre le emissioni di circa il 6% all'anno, ogni singolo anno, il che significa che in pratica dobbiamo dimezzare le nostre emissioni entro il 2030 e portarle a zero entro il 2040. Questo ci dà 20 anni per ristrutturare completamente le nostre economie e il modo in cui viviamo, il che è davvero una grande sfida e significa che dobbiamo iniziare ora. La pandemia potrebbe ritardare il piano.
Grande importanza ha avuto la pandemia nelle abitudini di acquisto, che sono state profondamente alterate. Sempre più persone restano a casa e ordinano cibo, vestiti e altri articoli online, ma la sicurezza e la convenienza arrivano al prezzo di maggiori danni alla biosfera.
Il COVID-19 costringe le persone in casa e ciò comporta una maggiore dipendenza dalle consegne a domicilio, che può portare a un enorme spreco di materiale e un effetto negativo sull'ambiente. Le persone ecosensibili, per esempio, prima della pandemia, facevano largo uso di sacchetti riutilizzabili, limitando enormemente il volume degli imballaggi. Ma la consegna a domicilio comporta un aumento esagerato di imballaggi. Un impatto che potrebbe essere di lunghissima durata, se le persone scoprissero, grazie al COVID-19, quanto siano convenienti tali servizi e di conseguenza continuassero a usarli, anche dopo la pandemia.
Un'altra preoccupazione ambientale in corso che è stata aggravata dalla pandemia è la deforestazione. Secondo i dati satellitari preliminari dell'Istituto nazionale per la ricerca spaziale in Brasile, il 64% in più della foresta pluviale amazzonica è stato annientato nell'aprile 2020 rispetto ad aprile 2019. L'aumento è il risultato del disboscamento illegale e dell'estrazione mineraria, che è sfuggito all'attenzione dei riflettori, causa pandemia.
La deforestazione emette abbondanti quantità di CO2 nell'atmosfera, il che contribuisce al riscaldamento globale. Allo stesso tempo, la deforestazione significa meno alberi per assorbire CO2, con conseguente riduzione della qualità dell'aria.