La Green Economy non porterà da sola la prosperità e la salvezza del pianeta. Non ci sono "scenari realistici" per rendere la crescita economica, richiesta dal capitalismo, compatibile con un minor uso di risorse. È il parere di un importante gruppo di ricerca, con due studi separati.
Man mano che le società diventano più ricche, consumano più risorse. Ciò significa anche che generano più inquinamento, causano il cambiamento climatico e distruggono gli ecosistemi naturali. La logica vorrebbe, quindi, fermare lo sviluppo, per trovare altre forme di benessere, non basate sul consumismo.
Tra gli economisti, invece, si è fatta strada l'ipotesi che sia possibile "disaccoppiare" la crescita del PIL dall'uso delle risorse. Disaccoppiare sostanzialmente significa, grazie agli aumenti di efficienza dei processi tecnologici, aumentare il PIL, e contemporaneamente limitare l'uso di risorse, per esempio rimanendo al di sotto la soglia degli 1,5 gradi Celsius, vale a dire stando sotto il grado e mezzo oltre la temperatura media dell'era preindustriale, come stabilito dagli accordi di Parigi.
Il fondamento di tutti questi sforzi è che sia possibile perpetuare la crescita dell'economia, senza la quale il sistema collassa, riducendo il nostro uso effettivo delle risorse e l'impronta dei materiali, magari passando alle energie rinnovabili.
Questo mito è stato recentemente rinfocolato dal libro "Di più con meno. La sorprendente storia di come abbiamo imparato a prosperare usando meno risorse", di Andrew McAfee, ricercatore della Sloan School of Management del MIT, una nostra vecchia conoscenza (vedi Fregatura 4.0). I dati finanziari, sostiene McAfee, mostrano che possiamo effettivamente ridurre facilmente la nostra impronta materiale continuando a far crescere le nostre economie in uno scenario vantaggioso per tutti.
McAfee sostiene, per esempio, che mentre stiamo aumentando la ricchezza, il motore della produttività del capitalismo ci sta portando a maggiori livelli di efficienza grazie a tecnologie migliori. Ciò significa che siamo in grado di realizzare cose più velocemente e più piccole utilizzando meno materiali e in alcuni casi meno energia. E questo a sua volta implica che stiamo causando meno inquinamento.
L'antropologo economico Jason Hickel dell'Università di Goldsmiths sostiene che McAfee abbia commesso un "errore contabile" che esclude "le risorse coinvolte nell'estrazione, produzione e trasporto" di merci importate. Poiché un'enorme quantità di produzione è delocalizzata, "quel lato dell'uso delle risorse è stato opportunamente spostato dai loro conti."
Un'opinione tecnica che risulta confortata dagli esiti di due nuove ricerche di un gruppo di scienziati ed economisti, consulenti fra l'altro delle Nazioni Unite, che smentiscono profondamente questa teoria. Si tratta del team del BIOS Research Institute in Finlandia, un'organizzazione scientifica multidisciplinare indipendente che studia gli effetti dei fattori ambientali e delle risorse su economia, politica e cultura.
Il team BIOS era già noto precedentemente per un potente rapporto sullo sviluppo sostenibile mondiale, pubblicato per le Nazioni Unite sul rischio che la crescita economica senza fine sotto il capitalismo sarebbe stata minata a causa dell'intensificarsi dei limiti "biofisici".
La prima ricerca, pubblicata su Environmental Politics, indica che l'approccio di McAfee si basa su letture selettive di dati statistici. Molte delle misure contabili utilizzate per sostenere il disaccoppiamento, oscurano o escludono dati critici. "L'esistenza del disaccoppiamento in un'area geografica delimitata o in un settore economico non significa automaticamente che il disaccoppiamento avvenga in un contesto più ampio", afferma il team di BIOS.
Una maggiore efficienza in alcune regioni o settori non è detto che rallenti la macchina dei consumi complessivi, anzi: all'interno del sistema più ampio, queste efficienze ci consentono di consumare quantità ancora maggiori di risorse complessive. È il fenomeno noto tra gli economisti come paradosso di Jevons. Nel 1865, l'economista inglese William Stanley Jevons notò che i miglioramenti tecnologici che aumentavano l'efficienza nell'uso del carbone non portavano a un calo del consumo di carbone, ma invece portavano a un consumo ancora maggiore di carbone in una gamma ancora più ampia di industrie.
Gran parte dei dati raggruppati da McAfee e altri, nell'analisi del team BIOS, rappresenterebbero una selezione arbitraria che si concentra su una particolare regione o settore senza riconoscere gli impatti più ampi, al di fuori di quella regione o settore. Di conseguenza, gli impatti ambientali molto più profondi dell'uso delle risorse possono spesso essere esclusi dall'analisi semplicemente restringendo la fonte dei dati.
Secondo gli autori del BIOS, i miglioramenti apparenti a una certa scala spesso si rivelano artefatti del modo in cui scegliamo di misurare. Solo perché stiamo migliorando notevolmente l'efficienza nella produzione di tecnologia non significa che stiamo effettivamente riducendo la nostra impronta di materiale nel mondo reale.
L'uso globale delle risorse materiali, mostra il team, è decuplicato dal 1900 ad oggi, da meno di 10 gigatonnellate (Gt) all'anno a circa 88,6 Gt nel 2017. Nei decenni successivi al 1970, il tasso di crescita globale è accelerato, non rallentato, poiché i consumi sono più che triplicati. Nel frattempo, solo il 9-12% dei materiali viene riciclato e circa la metà di tutte le risorse utilizzate viene utilizzata per fornire energia in senso lato. L'altra metà è utilizzata per infrastrutture come edifici, trasporti, macchine e beni di consumo.
Esistono risorse che sembrano diminuire mentre il PIL cresce? Secondo il BIOS, sì, ma sono limitate a specifici settori economici o particolari regioni geografiche, e sempre legati all'aumento dell'uso delle risorse altrove. Il problema è che "non ci sono prove di un disaccoppiamento assoluto delle risorse in corso e globale".
Il secondo documento del team BIOS pubblicato su Environmental Science & Policy è ancora più schiacciante. Il team ha rivisitato l'intero corpus della letteratura scientifica negli ultimi decenni per vedere se è possibile trovare prove empiriche di un disaccoppiamento autentico e assoluto.
Lo studio ha esaminato 179 studi scientifici sul disaccoppiamento pubblicati tra il 1990 e il 2019 e ha rilevato, in breve, che: "le prove non suggeriscono che il disaccoppiamento verso la sostenibilità ecologica stia avvenendo su scala globale (o anche regionale)".
Ci sono, è vero, prove di "disaccoppiamento dell'impatto", in particolare per le emissioni di gas a effetto serra nei paesi ricchi per determinati periodi di tempo, ma non ci sono prove di "disaccoppiamento delle risorse a livello di economia, tanto meno su scala internazionale e globale. Al contrario: ci sono prove di una maggiore intensità del materiale e di maggiore accoppiamento tra PIL e uso di risorse."
Il disaccoppiamento non è quindi un concetto scientifico, sostengono. È, invece, semplicemente una "possibilità astratta che nessuna prova empirica può confutare ma che in assenza di robuste prove empiriche o piani dettagliati e concreti rimane, in parte, sulla fede di chi la esprime."
Questo significa che dobbiamo rinunciare all'idea stessa di prosperità? Non necessariamente: significa piuttosto che dobbiamo cercare modi per creare prosperità che non richiedano una crescita infinita.
I dati empirici mostrano più e più volte che è possibile raggiungere alti livelli di benessere umano senza alti livelli di PIL con una pressione significativamente inferiore sul pianeta. Come? Condividendo il reddito in modo più equo e investendo nell'assistenza sanitaria universale, nell'istruzione e in altri beni pubblici. Si tratta di offrire vite lunghe, sane e fiorenti, al maggior numero di persone possibile. Questo è progresso.
Il proseguimento del business-as-usual e la salvezza del pianeta si escludono a vicenda. L'idea che possiamo fare entrambe le cose è un mito persistente, un atto di "fede", che dobbiamo imparare ad abiurare.